Il «no» alla «carriera alias», asterischi e «schwa» dentro il MIUR

L’associazione «Non si tocca la famiglia» ha raccolto 20mila firme di italiani. In questo stesso momento le presenta al ministro Patrizio Bianchi

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In questo momento, giovedì 24 febbraio, alle 11:00, l’associazione «Non si tocca la famiglia», promotrice della petizione nazionale contro «carriera alias», asterischi e schwa, incontra il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, nel tempo dell’invention test sulle sempre più numerose sfaccettature della presenza dell’ideologia gender nelle scuola, fra cui certe innovazioni linguistiche stravaganti e fuorilegge.

Alcuni istituti scolastici stanno già sommariamente saltando i passaggi (necessari per analizzare dettagliatamente i fatti), approvando protocolli che non rispettano il parere degli organi collegiali e il patto di corresponsabilità educativa con le famiglie, strumentalizzando maldestramente gli spazi dell’autonomia scolastica e muovendosi al di fuori del quadro normativo.

Ora, non esiste affatto un “diritto” alla «carriera alias», perché la scuola non possiede le competenze per modificare i dati anagrafici, una volta che gli atti siano stati depositati e siano dunque modificabili soltanto in caso di pronunciamento di un giudice: e i registri di classe sono atti pubblici, finalizzati a documentare gli aspetti amministrativi della classe, dunque immodificabili se non da tribunali competenti.

Si pensi solo alle possibili conseguenze giuridiche, per esempio nel dichiarare il falso in sede di scrutinio, dove, a fronte di un certo numero di maschi, iscritti regolarmente come tali in una classe da esaminare, ne risulti poi all’improvviso “un altro” per cambio arbitrario e soggettivo di nome e di gender, e con il registro elettronico in tilt perché il sistema non permette ovviamente di inserire un codice fiscale femminile in corrispondenza di un nome maschile.

In tema di abusi, la dirigenza scolastica del liceo «Emilia Ametrano» di Milano, dove è appena stata istituita la «carriera alias», ha dichiarato alla stampa di avere risolto grazie a uno stratagemma informatico. Cioè un illecito.

Ora, questo presunto anelito all’inclusività, di cui peraltro la scuola si è fatta garante sempre, non può affatto stravolgere le basi normative, quelle su cui si costruisce, a scuola, la convivenza democratica tra bambini, docenti e genitori, unitamente al patto di corresponsabilità educativa che tra scuola e famiglia spesso viene leso, a fronte di decisioni non condivise e non autorizzate dalle famiglie.

È quindi necessario che il Ministero si pronunci subito, rispondendo ai 20mila cittadini che hanno firmato il nostro appello.

Assecondare provvedimenti non conformi fa infatti presupporre che si tratti solo di una operazione ideologica tesa a invadere le scuole, anche con pericolose ricadute sociali e culturali.

È interessante peraltro notare che questo trend preoccupa perfino la World Professional Association for Transgender Health, che ha pubblicato nuove linee guida in cui mette in discussione proprio questo approccio sui minori.

I risvolti psicopedagogici di tali applicazioni illecite nelle scuole debbono preoccupare i dirigenti che avallano operazioni scellerate come queste, visto che si agisce in territori delicatissimi dell’età evolutiva e adolescenziale proverbialmente in cambiamento e agitazione.

Tutti i percorsi di sensibilizzazione alla diversità sono necessari e buoni, oltre che ampiamente adottati nelle scuole di ogni ordine e grado, ma debbono essere circoscritti alla costruzione di un clima di accoglienza, mediante itinerari di interazione organizzata nelle classi, e con l’aiuto di esperti, affinché tutti i passaggi previsti siano guidati sempre da un team costituito in base alle necessità reali.

La scuola non può insomma adottare vie facili per evitare di approfondire, discutere, elaborare riflessioni congiunte con professionisti e interfacciarsi con ogni singola proposta.

Invece diversi istituti approvano queste cosiddette «carriere alias» senza essere passati attraverso il collegio dei docenti e senza il consenso informato preventivo delle famiglie degli alunni.

Oggi ne parliamo al Ministero, ma non bisogna abbassare la guardia.

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