Last updated on Novembre 12th, 2021 at 10:02 am
Ci sono processi in cui, a fronte di un delitto, vengono rintracciati uno o più indiziati, si raccolgono le prove, inizia il dibattimento, si ascoltano testimonianze e infine viene pronunciata la sentenza di colpevolezza o di assoluzione. Altri processi partono invece con l’individuazione di un colpevole a priori, per il quale la sentenza di condanna è già scritta e il cui pronunciamento finale è un puro pro forma, mentre le prove fornite nel dibattimento diventano un elemento meramente accessorio. La vicenda giudiziaria che dal 2017 al 2020 ha coinvolto il cardinale George Pell appartiene alla seconda categoria. Nella persona del porporato australiano la modernità secolarizzata ha infatti voluto mettere sotto accusa non tanto un uomo, quanto ciò che l’uomo rappresenta: la Chiesa Cattolica, con tutto il patrimonio di princìpi, dunque di valori, che trasmette risultando più che mai indigesti al mondo.
Il secolo XXI è senz’altro il secolo delle nuove persecuzioni e nuovi colossei non prendono forma soltanto nei Paesi dove i cristiani sono minoranza, bensì anche dove il cristianesimo ha plasmato profondamente la civiltà, quella detta, a torto o a ragione, «occidentale». Non si è qui di fronte a un semplice scontro tra la Chiesa Cattolica e i suoi nemici, ma tra la civiltà e la barbarie, tra la verità e la menzogna, tra il bene e il male.
Il cardinale Pell è un uomo simbolo di questo conflitto epocale e la sua storia è la cartina tornasole della nuova persecuzione. L’ex prefetto alla Segreteria per l’economia della Santa Sede ha elaborato la propria terribile esperienza di innocente ingiustamente accusato, processato e condannato con l’accusa tanto infamante quanto perfettamente falsa e ordita ad hoc di pedofilia, nel libro Diario di prigionia – in due volumi di cui uno per ora tradotto anche in italiano –, tra l’altro presentato al Senato mercoledì scorso. «Mi sono reso conto di quanto sia in salita per un cardinale andare in prigione», ha dichiarato Pell durante la presentazione del libro, organizzata e moderata dalla senatrice Paola Binetti (Unione di Centro) con interventi, tra gli altri, dell’editore David Cantagalli, di don Antonello Iapicca, missionario itinerante in Giappone, e del senatore Simone Pillon (Lega).
Passare dallo sfarzo dei palazzi vaticani all’isolamento di un’angusta cella di due metri per sette di un carcere di Sydney non è un’esperienza da tutti i giorni. Per 404 giorni, il cardinal Pell, impossibilitato a celebrare Messa, ha vissuto circondato da assassini e da terroristi. La maggior parte dei detenuti erano «compromessi con l’abuso di droghe e io ero impossibilitato ad aiutarli», ha raccontato l’arcivescovo emerito di Sydney.
«Le guardie carcerarie sono state clementi nell’autorizzarmi a tenere il mio diario», ha proseguito, con riferimento alle pagine che hanno poi dato vita al suo libro, un’opera che documenta quelle che lo stesso Pell definisce le sue «lotte spirituali» contro lo sconforto e la tentazione di non perdonare. In carcere il cardinale australiano ha ricevuto almeno 4mila lettere di fedeli, molte delle quali contenenti «meravigliose preghiere». Anche per questo, rispetto a tanti altri detenuti, come lui accusati ingiustamente e, per giunta, «senza amici», Pell si sente «fortunato». I proventi delle vendite del suo libro serviranno peraltro interamente a coprire le spese legali e processuali. E i media australiani gli hanno pure rovinato la reputazione: eppure l’ottantenne porporato afferma di credere sempre nel «free speech», perché, ribadisce, «nelle democrazie la libertà di stampa è importante».
La vicenda di Pell è insomma quella di un capro espiatorio. In un mondo in cui lo sdoganamento della pedofilia procede inarrestabile, nello scandaloso silenzio dei potenti e della gente comune, gli abusi sessuali sui minori fanno notizia solo se compiuti da ministri della Chiesa Cattolica. I nemici della Chiesa sono sostanzialmente indifferenti al tema della pedofilia, eppure lo strumentalizzano pur di andarle contro. Anche a costo di imbastire autentiche montature, come confermano le accuse a carico di Pell, giudicate false dall’Alta Corte australiana.
«Quando un accusatore cambia versione 24 volte, qualunque giudice dovrebbe archiviare il caso», ha osservato Domenico Airoma, procuratore della Repubblica di Avellino e vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino, durante la presentazione del libro. Nel processo a Pell, «il giudizio dei giurati si è ispirato a una presunzione di colpevolezza» del porporato. Ma se l’ex capodicastero vaticano è certamente non colpevole di abusi sessuali, di certo lo è per il «ruolo apicale» da lui ricoperto in una «organizzazione che deve sentirsi colpevole per il male che ha fatto», ha affermato il magistrato.
Per gli accusatori Pell non è colpevole per quello che fa, ma per quello che è e che rappresenta. La pedofilia è un male turpe, di cui ancora si è sfiorata soltanto la superficie. Ne vanno indagate le cause profonde e analizzati tutti i risvolti, anche quelli che non ci si vuole sentire ricordare per quieto vivere. La pedofilia va combattuta strenuamente, ma là dove essa esiste. Non va cioè inventata soltanto per trascinare nel fango gli avversari, attraverso una tecnica scandalistica ignobile. E nel caso Pell «sul banco degli imputati c’è quel che rimane di una grande idea di civiltà», come ha detto Airoma. Cardinale di Santa Romana Chiesa e pure conservatore: imperdonabile.