Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:07 pm
La Nigeria diventa sorvegliata speciale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America. Il motivo? Sono state registrate «violazioni sistematiche, continue ed eclatanti della libertà religiosa». Ad annunciarlo è il Segretario di Stato Mike Pompeo: «La libertà religiosa è un diritto inalienabile e il fondamento su cui si costruiscono e prosperano società libere. Oggi gli Stati Uniti hanno nuovamente agito per difendere chi vuole semplicemente esercitare questa libertà essenziale». La scelta degli Stati Uniti rientra del resto nelle operazioni previste dall’International Religious Freedom Act, legge firmata dal presidente Bill Clinton nel 1998 per impegnare la politica estera statunitense nella difesa della libertà religiosa e contro le persecuzioni.
Un Paese difficile
La Nigeria ha una popolazione di circa 200 milioni di abitanti, che sono equamente divisi tra fede musulmana e fede cristiana. Le persecuzioni avvengono principalmente nel nord del Paese, dove è stata imposta la shari’a, e nella cosiddetta «cintura di mezzo», dove il settentrione a prevalenza musulmano entra in contatto con il meridione in prevalenza cristiano. Come se tutto questo non bastasse sui cristiani incombe la minaccia costante del terrorismo islamista di Boko Haram e l’avanzata dei pastori fulani, musulmani che, per sfuggire alla desertificazione, invadono i campi coltivati dagli agricoltori cristiani e se ne impossessano, lasciandosi dietro una scia di sangue.
La situazione è particolarmente delicata e la conferma arriva anche dal vescovo di Sokoto, mons. Matthew Hassan Kukah, che, intervistato dal portale cattolico d’informazione Crux, dice: «La Nigeria è letteralmente intrappolata in un vortice di violenza e ogni segmento o regione del Paese avverte il problema in modo peculiare. Il conflitto nigeriano è un cocktail Molotov di rabbia, frustrazione, estremismo religioso, politica tossica, corruzione e spaccature profonde». Molte persone, spiega mons. Kukah, hanno ormai perso la speranza: «Le frustrazioni aumentano, e le cricche della politica e della burocrazia criminali si fanno sempre più audaci, depredando il Paese alla cieca per poi lasciarlo lì a sanguinare».
C’è un intero sistema da rinnovare, osserva il vescovo: «Le élite politiche incapaci di operare non fanno che facilitare la violenza e il permanere di questo clima accresce il potere di chi tiene i cordoni della borsa di quella violenza: i militari. E di questo non abbiamo bisogno, perché spesso i militari si sono rivelati peggiori delle malattie che sono venuti a curare».
A pagare il prezzo più alto sono ancora una volta i cristiani, conferma don Roberto Castiglione, salesiano, missionario da 15 anni a Ibadan, in una lunga intervista ad AgenSIR: «I cristiani in quelle zone sono molto preoccupati. I giovani di quelle regioni non si sentono al sicuro. La polizia non è efficace. I fulani si muovono armati e sembra vogliano costringere con la paura le popolazioni locali ad abbandonare quelle terre per poi impossessarsene, trovarsi in situazione di maggioranza numerica e rivendicarne la proprietà».
Povertà, corruzione e terrorismo
Sui quasi 200 milioni di abitanti, oltre 87 vivono in condizioni di povertà assoluta. Persino le compagnie petrolifere, che da anni sfruttano i giacimenti del territorio, si stanno ritirando, trovando sempre più difficile ottenere i permessi e scavare in sicurezza. Così diminuiscono gli investimenti nel Paese e la poca ricchezza viene distribuita solo tra i pochi ricchi.
E per i cristiani non sembra esserci spazio: lontano dagli occhi del potere centrale cresce il terrorismo e le istituzioni restano impermeabili alle richieste dei cittadini estranei alle logiche della corruzione.
Proprio su questo punto insiste Nathan Johnson, responsabile regionale per l’Africa dell’advocacy group statunitense International Christian Concern: «Il problema principale della Nigeria è che il governo non protegge o non persegue i cittadini allo stesso modo». È vero, non appoggia direttamente la persecuzione contro i cristiani, come avviene in altri Stati vicini, tuttavia «il governo nigeriano non fa nulla per impedire che questi attacchi avvengano in tutta la regione della “cintura di mezzo” e non è disposto a dire che la religione svolga un ruolo in queste aggressioni. E questo permette che le aggressioni continuino senza sosta».
Per questo Johnson saluta con favore la decisione degli Stati Uniti, non senza comunque rilanciare: «Paesi come Somalia, Eritrea, Mali e Mauritania disprezzano tutti completamente la libertà religiosa», e in troppi Paesi convertirsi al cristianesimo significa ancora entrare in zona pericolo.
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