La vicenda è di quelle che occupano poco spazio nei notiziari. Nel cimitero romano, dalle croci delle sepolture dei bambini abortiti scomparirà il nome della madre e d’ora in poi verrà indicato solo un codice alfanumerico. La Giunta capitolina, infatti, ha approvato la proposta di modifica di due articoli del Regolamento di polizia cimiteriale per «adeguarlo alle necessità e alle sensibilità» legate al trattamento dei dati personali delle donne che hanno vissuto un aborto.
Anche «iFamNews» aveva raccontato quanto accaduto, quando alcune donne erano venute a conoscenza a posteriori del fatto che il loro nome era stato indicato sulle piccole tombe nel cimitero Flaminio, nella capitale. Il caso, dopo le denunce per violazione della privacy da parte delle donne interessate, era finito in tribunale. Circa due mesi fa il procedimento è stato archiviato, con la dichiarazione che «[…] si sia trattato non di un atto doloso ma semplicemente della conseguenza di una prassi erronea determinata da un vuoto normativo».
Ora l’Assemblea Capitolina si propone di colmare tale vuoto sul territorio che amministra e il 21 aprile ha emesso una delibera di modifica del Regolamento di polizia cimiteriale adottato con deliberazione di Consiglio comunale n. 3516 del 30 ottobre 1979 e ss mm ii, ancora una volta senza alcun riguardo per i bambini abortiti, interessata come è solamente alla mera questione della normativa nazionale ed europea a proposito della riservatezza dei dati personali. Delle madri, ovviamente.
Ma c’è di più. In Italia, la sepoltura, anche dei bambini abortiti, sia per aborto volontario sia spontaneo, è regolamentata dal D.P.R. n. 285 del 1990. Fino alla ventesima settimana di vita nel grembo materno, i corpicini abitualmente sono trattati come rifiuti speciali ospedalieri. Dopo la ventottesima, si considera invece il bambino come nato morto. Fra 20 e 28 settimane, l’ospedale può decidere se procedere allo smaltimento come rifiuto speciale oppure se prevedere la sepoltura del piccolo.
«Esiste però il diritto delle famiglie a ricevere e seppellire i propri bambini non nati», come sottolinea Emiliano Ferri, avvocato, vicepresidente dell’associazione Difendere la vita con Maria (DVM), che si occupa fra l’altro, a livello nazionale, di stipulare convenzioni con le aziende ospedaliere e i Servizi cimiteriali per promuovere il più possibile la pratica di sepoltura di questi corpicini.
«Le famiglie che ne fanno richiesta sono di prassi quelle che hanno subito il dramma di un aborto spontaneo, ma sarebbe sbagliato dare per scontato che invece non desideri farlo anche una donna che avesse abortito volontariamente, per esempio in caso di quello che viene definito aborto “terapeutico” », continua l’avvocato. «Sono quasi sempre i padri che entro 24 ore dall’espulsione del corpicino, come richiede la normativa vigente, si recano a fare domanda per poterlo ricevere e seppellire, come ovvio se si pensi allo stato di prostrazione fisica e psicologica di una donna che abbia appena perso il proprio figlio».
La delibera comunale di aprile, però, è proprio i padri che fa fuori, poiché afferma esplicitamente che «[…] possono essere inumati su richiesta della genitrice o degli aventi diritto i prodotti del concepimento, i prodotti abortivi e i feti ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. 285/1990». Ma, spiega Emiliano Ferri, «attenzione, gli “aventi diritto” cui fa cenno la delibera non sono i padri. È l’ospedale. Non è altro che la continuazione logica della legge 194 che regolamenta l’aborto nel nostro Paese, che considera il padre come un “signor nessuno”, come “uno che è passato di lì”, senza riconoscergli alcun diritto sulla vita del concepito, perché in primis non riconosce alcun diritto a questa vita stessa. È la cultura filo-abortista che conduce necessariamente qui». Infine, conclude, «Noi, sulla scia dell’enciclica Evangelium Vitae di san Giovanni Paolo II, cerchiamo di far comprendere che quei resti non sono oggetto, non sono “grumi di cellule”, ma sono resti di essere umani ai quali va data tutta la dignità possibile, rispettando anche gli intendimenti dei genitori».
La delibera dell’Assemblea Capitolina del resto ricalca quanto già avvenuto in Lombardia, dove una norma sulla sepoltura obbligatoria dei piccoli era stata stabilita in Regione, primo e unico caso, nel 2007 dalla giunta Formigoni, con spazi cimiteriali dedicati. È stata poi abrogata nel 2019, su iniziativa del Consiglio Regionale che ha votato all’unanimità un emendamento presentato dal Partito Democratico per vincolare la sepoltura «[…] esclusivamente alla esplicita richiesta della donna o di chi è titolato alla decisione». Come a Roma anche a Milano, «capitale morale.» d’Italia, i padri non contano.
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