Last updated on Maggio 28th, 2020 at 07:42 am
Ci mancherà Giancarlo Ricci, passato a miglior vita giovedì 21 maggio, a 70 anni, a causa di un male incurabile. Da psicologo, aveva aiutato moltissime persone a uscire dall’odio verso se stessi per guarire le ferite causate dalla loro tendenza omosessuale. Lo aveva fatto nel suo studio milanese in piazza Lima con l’ascolto garbato, attento e rispettoso che è necessario a ristabilire un equilibrio interiore. Anche per questo Ricci era stato perseguitato a lungo, fino allo svolgimento di tre procedimenti disciplinari davanti all’Ordine degli Psicologi, tutti culminati in un’archiviazione. Da quella dolorosa esperienza aveva tratto la sua ultima opera, Il tempo della postlibertà. Destino e responsabilità in psicoanalisi, concepita non per ribaltare le accuse, ma per psicanalizzare la professione a cui aveva dedicato gli studi e la vita.
Semmai un altro, ben più ampio, processo culturale di penetrazione ideologica nel frattempo si era già concluso con la sconfitta della scienza. E Giancarlo, studioso di Sigmund Freud (1856-1939) e di Jacques Lacan (1901-1981), non aveva potuto tacere su quel declino, che aveva trasformato una teoria, che originariamente era rivolta a indagare l’identità umana per ricostruirla attraverso la terapia, in una prassi relativista che ne esalta il disordine.
In fondo lui aveva percorso il cammino al contrario, riconoscendo che l’impegno della Sinistra politica e intellettuale andava sempre più identificandosi con la disgregazione sociale e umana. Perciò era approdato al cattolicesimo, tra le ultime ridotte in Italia di coloro ancora convinti che, per un figlio, «la funzione di padre e di madre è essenziale e costitutiva del percorso di crescita». In effetti avere pronunciato quelle parole in televisione da parte di uno psicoterapeuta aveva provocato scandalo. Ma «oportet ut scandala eveniant» (Mt 18, 3), perché l’indignazione e la levata di scudi nei confronti del senso comune stava a segnalare che l’erosione della libertà di parola e di opinione era ormai giunta al livello di guardia.
A quel punto la vera trasgressione era divenuta la riproposizione dell’ordine naturale di fronte alla confusione dell’ideologia gender. Anche nella sua ultima intervista, concessa a “iFamNews”, aveva fatto emergere i limiti del passaggio dal cosiddetto eterocentrismo all’omonormatività, cioè a una visione dell’omosessualità intesa come elemento portatore di pace nei costumi e nelle istituzioni. In realtà Ricci riteneva «che l’omogenitorialità rischi di diventare il modello di una sorta di famiglia fai-da-te, dove l’alterità e la differenza sono messi al bando», destinata a «diventare (e in parte lo è già) un modello idealistico nel quale i soggetti sono sempre più svincolati da legami sociali in nome di un individualismo estremo, soggettivistico». Contro «la deresponsabilizzazione della libertà», si richiamava a «un mito delle origini, una genealogia, un’inscrizione genealogica, una trasmissione del nome», per «garantire che ci sia un’alternanza delle generazioni». Se valesse come suo testamento spirituale, non dovrebbero mancare gli eredi.
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