Gli «sdraiati» cinesi e la crisi demografica

La generazione che oggi in Cina è in età fertile non desidera mettere al mondo figli

Image from Pixabay

La crisi demografica che ha investito l’intero mondo occidentale, Italia compresa, e che preoccupa le menti più lungimiranti, ha ragioni economiche e ragioni culturali profonde, come «iFamNews» ha raccontato in numerose occasioni.

Vi è un Paese, però, in cui tale crisi assume tratti del tutto particolari, specialmente perché essa non segue sviluppi propri, si potrebbe dire in qualche modo “spontanei”, ma lo Stato vi ha decisamente messo lo zampino, anzi, l’artiglio. Questo Paese è la Cina.

Il controllo delle nascite dal passato a oggi

Dopo la crisi economica spaventosa causata dal collasso economico determinato dal «Grande balzo in avanti», imposto alla Cina da Mao Zedong (1893-1976) negli anni 1958-1961 e finalizzato a trasformare con la forza un Paese basato sull’economia agricola e su una società rurale in una grande potenza economica industrializzata, è parso al suo successore Deng Xiaoping (1904-1997) che l’unica via d’uscita fosse un controllo delle nascite draconiano.

Deng, quindi, nel 1979 inaugurò la «politica del figlio unico», che fino al 2015 impedirà alle coppie cinesi di mettere al mondo più di un figlio attraverso la contraccezione, la sterilizzazione, l’aborto forzati. Milioni di vite umane sono così sparite in un gorgo, soprattutto le vite delle bambine.

Nel 2015 il primo allarme di calo demografico ha portato il regime di Pechino ad allargare le maglie, permettendo la nascita di due bambini per ciascuna famiglia e nel maggio 2021ne ha concesso addirittura un terzo, «[…] mentre noi ci chiedevamo che fine facessero i quarti, i quinti, e così via».

A settembre, infine, «[…] il regime neo-post-nazional-comunista cinese ha varato un pacchetto di misure atte a migliorare la “salute riproduttiva delle donne” e fra queste è compresa la drastica riduzione degli aborti per “scopi non medici”».

Il crollo demografico

Troppo tardi, da ogni punto di vista, e la crisi demografica nel Paese del dragone è ormai devastante. Un articolo recente del quotidiano britannico The Guardian ha snocciolato i dati più che preoccupanti forniti dall’Ufficio nazionale di Statistica cinese, evidenziando per esempio come nel 2021 siano nati solo 10,62 milioni di bambini, in calo rispetto ai 12,02 milioni del 2020: il numero più basso dal 1949, anno di nascita della Repubblica Popolare Cinese. Erano 14,65 nel 2019: il crollo è vertiginoso. Cresce, la contrario, la popolazione anziana e Pechino si trova una gatta da pelare che non sa come affrontare, vale a dire trovare chi pagherà in futuro le pensioni di nonni e genitori.

Il fattore culturale

Un aspetto particolare e interessante di questa crisi demografica è raccontato in un altro articolo, pubblicato sul New York Post di sabato 29 gennaio, firmato da Steven W. Mosher ‒ presidente del Population Research Institute, di Front Royal, in Virginia ‒, autore fra l’altro di Bully of Asia: Why China’s Dream is the New Threat to World Order.

Video – Source: New York Post

«Molti uomini cinesi tra i venti ei trent’anni sembrano aver semplicemente rinunciato alla vita», scrive Mosher. «A differenza dei loro padri e nonni, che hanno lavorato duramente per poter comprare un appartamento, sposarsi e crescere una famiglia, questi figli unici coccolati hanno difficoltà ad alzarsi dal letto la mattina. Non è solo indolenza; è un intero modo di vivere». Sono i figli della «politica del figlio unico», per i quali il motto di Deng Xiaoping secondo il quale «arricchirsi è glorioso» significa arricchirsi per sé, garantirsi uno standard di vita adeguato a sé, pensare a sé.  

«Si attribuiscono anche un nome», prosegue l’autore. «Sono tang ping – l’espressione cinese significa “sdraiarsi” – dediti a fare quanto basta per cavarsela nella vita. I loro piani non includono il matrimonio, tanto meno i bambini».

Nelle metropoli, poi, questa generazione di giovani cinesi assume caratteristiche sempre più simili ai coetanei dei Paesi occidentali. «Lo confermano le ricerche nel marketing. Già nel 2018 China’s Evolving Consumers: Eight Intimate Portaits dell’analista Tom Nunlist ‒ di cui si segnala anche la brillante analisi della specialista italiana Nicoletta Ferro su China Files ‒ tratteggiava un target di clientela molto particolare. Si tratta di giovani, single o coppie, che vivono in grandi città, che sono “in carriera” e che godono di un lavoro che permette loro di immaginare un futuro di sfizi da cui è assente il desiderio di avere figli, o comunque non più di uno. Il tutto in un contesto di competizione sociale e di lotta per la ricchezza dove le scuole migliori sono costosissime e le performance richieste spaventose, a ogni livello».

Aborti e femminicidio

Vi è comunque un’altra questione cruciale, sottolineata da Mosher nel suo pezzo sul New York Post: «[…] in ogni caso, i tang ping avrebbero difficoltà a trovare una sposa. La tradizionale preferenza per i figli maschi significa che gli uomini superano di gran lunga le donne in Cina, specialmente nelle zone rurali. La Cina ha più di 30 milioni di uomini “in eccedenza” e la competizione per le spose è agguerrita». La colpa, di nuovo, è del Partito Comunista Cinese: gli aborti selettivi hanno ucciso milioni di bambine, hanno spazzato via le loro vite quando l’ecografia ha rilevato il loro sesso e ignorato il battito del loro cuore: è stato compiuto un femminicidio durato quarant’anni.

La crisi demografica, comunque, ha creato il panico, nonostante i funzionari di Partito continuino a insistere sul fatto che la popolazione cinese si stabilizzerà ai 1,4 miliardi di persone attuali.

«Decenni di propaganda anti-natalista che minacciavano una severa punizione  per aver violato la politica del figlio unico (“Avere un figlio è illegale e ti demoliremo la casa!”) sono stati sostituiti da  esortazioni  alle coppie a dare alla luce un secondo e persino un terzo figlio. Avere un bambino “non è solo una questione di famiglia, ma è anche un affare di stato“, ora viene detto alle donne», scrive ancora Steven Mosher. «La femminista cinese Xiao Meili ha criticato il cambiamento di politica, lamentandosi che “gli uteri delle donne non sono rubinetti, che possono essere attivati ​​e disattivati ​​a piacimento dallo stato”». Ecco, appunto.

Vi è in questo panorama desolante una sola notizia confortante: «Circa il 90% delle famigerate cliniche per le “nascite pianificate” del paese, utilizzate per far rispettare la politica del figlio unico mediante aborti, sterilizzazioni e inserimenti di [dispositivi intrauterini] IUD, sono state chiuse». I milioni di bambini e bambine abortiti nel passato sono ormai perduti, il dolore loro e delle madri non è recuperabile, ma forse se ne eviterà dell’altro in futuro.

Exit mobile version