Il progresso di una civiltà non si misura tanto dal grado di avanzamento tecnologico quanto dallo scopo che l’uomo si prefigge di raggiungere tramite i mezzi della tecnica. In sintesi: il mezzo è un passo verso una società più giusta e il bene comune?
Una domanda che dovrebbe interrogare anche l’Emilia Romagna, la cui giunta, guidata da Stefano Bonaccini, attualmente candidato alle prossime elezioni regionali con il centro sinistra, ha annunciato l’avvio di una fase pilota di 9 mesi in cui verrà permesso alle mamme della provincia di Bologna di ricorrere gratuitamente al Nipt test. Questo esame consiste in uno screening non invasivo dove, attraverso un prelievo di sangue dal braccio della madre, si è in grado di sapere con una precisione del 99% se il nascituro è affetto dalla sindrome di Down (trisomia 21), la sindrome di Edwards (trisomia 18) e la sindrome di Patau (trisomia 13). L’idea è quello di estendere questo servizio a tutte le province emiliano-romagnole: in questo modo l’Emilia Romagna diverrà la prima regione italiana a erogare il Nipt in maniera gratuita, visto che attualmente è disponibile presso cliniche private ad un costo che si aggira sui 700euro.
L’obiettivo? L’annuncio sul sito della regione specifica che lo scopo è quello di ridurre il ricorso ad amniocentesi e villocentesi, pratiche invasive che prevedono l’inserimento di un ago nella cavità uterina e che hanno un rischio abortivo anche se molto basso. Una spiegazione a metà in quanto non va a fondo delle ragioni per cui molte donne incinte ricorrerebbero a tale screening: scoprire se il bambino che si porta in grembo è affetto da qualche alterazione cromosomica e procedere alla sua eliminazione tramite l’aborto. Una finalità eugenetica quindi che risponde ad una mentalità figlia della cultura dello scarto, dove chi non è ritenuto efficiente o comunque non in grado di avere una vita degna (e chi lo decide se una vita è degna di essere vissuta?), viene semplicemente fatto fuori. Eppure sono gli stessi ragazzi affetti da sindrome di Down ad averci mostrato in più occasioni l’infondatezza di questa visione.
Questa prospettiva è tutt’altro che allarmistica anzi: è in corso un aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza che prevede l’inserimento degli screening prenatali non invasivi tra le prestazioni erogabili dal SSN (Servizio Sanitario Nazionale). In alcuni Paesi cominciano già a vedersi gli effetti di questa ideologia che relativizza il bene della vita. È il caso del Regno Unito dove, dal 2013, anno di introduzione del Nipt, fino al 2017, il numero di bambini con la sindrome di Down è calato del 30%. L’esempio più eclatante rimane quello dell’Islanda che ha da tempo intrapreso la strada che la sta portando a diventare il primo Paese “downfree”.
Ritorna dunque l’interrogativo iniziale: quale è lo scopo di introdurre ed estendere il Nipt?
Un esame di questo tipo ha senso nella misura in cui permette ai genitori, una volta scoperta un’eventuale anomalia cromosomica nel figlio, di poter acquisire informazioni riguardo a quale sia l’ospedale migliore dove poter partorire e di poter prepararsi sia psicologicamente sia da un punto di vista medico ad accogliere il proprio figlio. Ricorrere al Nipt dunque dovrebbe permettere di «vedereper curare, non per eliminare ». Questo tema dovrebbe interrogare innanzitutto Stefano Bonaccini che nel suo programma elettorale afferma che se venisse riconfermato alla presidenza della regione Emilia-Romagna riserverà «più attenzione alle fragilità e servizi aggiuntivi agli studenti disabili e alle loro famiglie» perché l’obiettivo «è riconoscere la diversità, l’irriducibilità e la molteplicità delle differenze per contrastare ogni forma di discriminazione». Ci si augura che tale attenzione a evitare ogni forma di discriminazione valga anche per gli ultimi della fila, i più deboli, quelli inermi nella pancia delle madri.
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