Last updated on Settembre 21st, 2022 at 12:49 pm
Il Canada si conferma la frontiera avanzata della rivoluzione contro l’umano. Dopo i dati angoscianti sull’aumento repentino dell’eutanasia dopo la più recente fase della sua liberalizzazione, anche sul fronte droga l’inquietudine cresce.
Per combattere il gran numero di overdose, nel British Columbia (sempre il British Columbia, quello dove anche l’eutanasia tocca il picco dell’intero Paese) dal 2023 e per tre anni sarà depenalizzato il possesso di piccole quantità di eroina, ecstasy, oppioidi, cocaina, insomma praticamente tutto.
In cinque anni, tra il 2016 e il 2021, nel Paese nordamericano sono però morte 26mila persone di droga e «l’eliminazione delle sanzioni penali per chi trasporta piccole quantità di droghe illecite per uso personale ridurrà lo stigma e il danno, fornendo un altro strumento al British Columbia per porre fine alla crisi da overdose», ha dichiarato all’agenzia Reuters il ministro federale per la Salute mentale e le dipendenze, Carolyn Bennett.
Come però questo possa davvero ridurre il danno è tutto da dimostrare, e certo se ne avvantaggeranno, come sempre, gli spacciatori, i quali potranno infatti operare indisturbati.
Nessun riferimento è stato fatto ai motivi che portano le persone ad assumere droga: si pensa solamente allo «stigma» e a «ridurre il danno». Ora, quest’ultima espressione è un’altra frase talismano che da alcuni anni si è imposta nel campo del “trattamento” delle tossicodipendenze. Virgolette qui d’obbligo, perché infatti si tratta solamente di mantenere in stato di dipendenza le persone, certamente in ambienti protetti e fornendo prodotti altamente sicuri, ma sempre mantenendoli nella schiavitù della droga.
Nessun impegno, cioè, per cercare di comprendere le motivazioni del ricorso alla droga, nessun tentativo di liberare il tossicodipendente dalla prigione in cui è rinchiuso. Certamente si ridurrà il rischio di morte, ed è certo un risultato meritorio, ma se non si fa altro il problema si cronicizza. Il tossicodipendente non sarà costretto a delinquere, assumerà la propria dose di droga e lascerà tutti tranquilli: ma va bene? Forse a molti sì, forse per molti è l’unica cosa che interessa davvero.
Sempre dal Canada arrivano altre notizie, adatte ai tempi. Tutti conoscono il dramma dell’overdose da oppioidi che flagella il continente americano. Tra questi il Fentanyl è uno dei più potenti e pericolosi, spesso associato ad altre sostanze che ne fanno un prodotto letale. Ebbene, a Vancouver c’è Insite, una realtà dal 2003 all’avanguardia nella «riduzione del danno», che ha al proprio attivo la diminuzione delle morti e delle spese per le cure da virus HIV. Assiste tra le 600 e le 900 persone al giorno. Proprio da Vancouver arriva la notizia che, per ovviare all’ecatombe da overdose da Fentanyl, si prova a somministrare niente altro che il Fentanyl a chi non può o non vuole smettere. Lo sconcerto del mondo sanitario è enorme, come riporta The New York Times: «si rischia di aumentare utenti e decessi».
Lo ricordava un grande educatore ed esperto in tema di ricupero di tossicodipendenti, Federico Samaden: la «riduzione del danno», con i centri di potere collegati, porta «a una logica di mantenimento e non di salvezza dalle droghe». Ridurre il danno vuol dire infatti solo ridurre l’impegno.