Last updated on Febbraio 15th, 2020 at 12:20 am
Il mese scorso a Kunming, nella Cina sudoccidentale, due ragazze omosessuali si sono “sposate”. Non è ben chiaro in che modo, però, dal momento che lo Stato né vieta né al contempo riconosce i “matrimoni” fra persone dello stesso sesso.
In Cina l’omosessualità ha smesso di essere un reato nel 1997 e solo nel 2001 è stata tolta dall’elenco delle malattie psichiatriche. Prima la Repubblica Popolare Cinese l’aveva bollata con lo stigma della «decadenza borghese» e la Rivoluzione Culturale (1966-1976) l’aveva trattata con estrema durezza. Nel 1979 era stata quindi inserita nel Codice penale. Attualmente la legislazione non riconosce i “matrimoni” omosessuali e definisce come matrimonio la sola unione fra un uomo e una donna. Dai primi anni 2000, però, la comunità LGBT cinese è uscita allo scoperto, cominciando a chiedere a gran voce il riconoscimento di tale “diritto”.
Ma nulla di fatto, per il momento, benché esista una legge che permette ai membri di una coppia omosessuale di esercitare reciprocamente una forma di tutela legale, per esempio rispetto alle cure mediche e ad alcuni aspetti della gestione economica. Pare comunque che pochissime coppie ne abbiano usufruito, anche per via del complesso carico burocratico che la norma prevede e soprattutto perché ritenuta una garanzia inadeguata.
Il 20 maggio il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso è stato approvato a Taiwan, dopo un percorso legislativo iniziato nel 2017, e si tratta del primo Paese asiatico a prendere una risoluzione in tal senso, che fra l’altro esclude per queste coppie l’adozione ma consentirebbe la stepchild adoption. Se si guarda alle complicate relazioni fra i due Stati, suona quasi come una sfida.
In agosto, Zang Tiewei, portavoce della Commissione parlamentare per gli affari giuridiciPdi Pechino, ha escluso che in Cina qualcosa possa cambiare: «Questa regola si adatta alle condizioni nazionali del nostro Paese e alle tradizioni storiche e culturali», ha affermato Zang. «Per quanto ne so, la stragrande maggioranza dei Paesi del mondo non riconosce la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso».
In novembre la comunità LGBT si è comunque fatta sentire, prendendo parte a un’iniziativa promossa da Yanzi, direttore di LGBT Rights Advocacy China, che ha sede a Guangzhou. Quasi 200mila persone hanno aderito alla manifestazione, inviando alle autorità richieste e osservazioni per una revisione della legge civile in materia matrimoniale.
Sia come sia, il governo resta per ora fermo sulle proprie posizioni, sintetizzate nella formula delle “tre risoluzioni”: «non approvare, non disapprovare, non incoraggiare». Resterà da vedere se l’Assemblea nazionale del popolo, prevista per il mese prossimo, imboccherà un cammino diverso.