Per la Disney sembra ormai esistere soltanto un colore: l’arcobaleno. Non contenta dei film d’animazione pieni di scene esplicitamente gay friendly e di avere contestato sonoramente la legge che vieta l’ideologia gender nelle scuole della Florida, la multinazionale ha estratto l’ennesimo coniglio dal cilindro.
Si tratta di una serie di benefit che elargirà ai propri dipendenti e familiari che accedessero alle procedure ormonali e chirurgiche per la riassegnazione del genere sessuale. L’obiettivo è «garantire che qui da noi in azienda i nostri dipendenti e il cast possano esprimere il proprio genere in modo autentico e orgoglioso», dichiara una fonte della Disney, probabilmente un dirigente, intervistato dal giornalista Christopher Rufo.
Il progetto comprende anche un piano informativo sulle «procedure di affermazione di genere» per i dipendenti transgender o per i loro figli che abbiano intrapreso la transizione.
Stati Repubblicani agli antipodi
La nuova mossa della Disney è comunque in controtendenza rispetto alle politiche intraprese negli ultimi tempi da almeno tre Stati a guida Repubblicana. All’inizio dell’anno il Texas ha classificato gli interventi chirurgici di riassegnazione del genere sui minori come un «abuso», mentre il governatore Greg Abbott ha ordinato che il ministro della Famiglia e dei servizi di protezione indaghi i casi in cui figli sono in fase di transizione. Anche l’Arizona ha vietato queste procedure sui bambini, mentre il Congresso dell’Alabama ha approvato un disegno di legge analogo a cui manca soltanto la firma del governatore.
Colpisce dunque il “gioco delle parti” svolto dell’amministratore delegato della Disney, Bob Chapek (nella foto). Dopo essersi scusato per la “tiepidezza” nel condannare la legge “omofoba” firmata dal governatore della Florida, Ron Desantis, Chapek ha espresso un ulteriore mea culpa e la promessa di diventare «un alleato migliore per la comunità LGBT+», impegnandosi a «garantire che la nostra azienda sia all’altezza dei suoi valori».
Chapek ha quindi ribadito: «Riconosco che abbiamo commesso errori e il dolore che quegli errori hanno causato. E so che il nostro silenzio non riguardava solo la questione della Florida, ma ha a che fare con ogni situazione in cui una persona o un’istituzione avrebbe dovuto resistere a difesa di questa comunità e non l’hanno fatto. Io e il mio gruppo dirigente siamo determinati a utilizzare questo momento come catalizzatore per un cambiamento più significativo e duraturo». Intanto, nel giro di meno di un anno, sono finiti in manette almeno sei dipendenti della Disney, tutti con lo stesso capo d’accusa: molestie o abusi sui minori. Su questi inquietanti fatti, però, nessuna espressione di rammarico da parte dell’amministratore delegato…