Diritti pelosi

In piena crisi demografica, contano di più gli animali da compagnia o i bebè?

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Last updated on Agosto 12th, 2021 at 11:03 am

Andrea Laurent Simpson è una sociologa e ricercatrice nella Southern Methodist University (SMU) di Dallas, negli Stati Uniti d’America.

È autrice di un testo dal titolo Just Like Family: How the Companion Animal Joined the Household, in cui sintetizza parte della propria esperienza di studiosa, grazie alla quale «Dopo 100 ore di osservazioni in una clinica veterinaria, dozzine di interviste con proprietari di animali domestici e un’analisi di decine di campagne stampa che inondano i media» conclude che «è ovvio che gli animali domestici sono più che generici “membri della famiglia”».  

Fino a qui, tutto chiaro e tutto giusto, esattamente come giuste e sacrosante sono le campagne che ogni estate campeggiano sui cartelloni delle autostrade italiane: abbandonare gli animali è sbagliato, crudele, criminale. Chi regala il cucciolo a Natale e se ne disfa malamente a luglio è un mostro e commette un reato. Non si può che essere d’accordo, e se l’affetto per un essere vivente di cui ci si è presi carico può non essere scontato, la responsabilità e il rispetto invece lo sono. Senza deroghe. Si parla di bestiole, sia chiaro.

L’articolo che Andrea Laurent Simpson ha pubblicato di recente su Fox News però va oltre e racconta di una storia differente.

L’autrice, cioè, parla di animali da compagnia, tipicamente cagnolini, ma anche gatti e gattini, considerati e trattati alla stregua di bambini. Anzi: al posto dei bambini.

La Laurent Simpson parla infatti di famiglie “multispecie”, composte cioè da umani e animali, nelle quali non solo le corrette esigenze di cura e rispetto, ma anche vizi e vezzi delle bestiole dovrebbero trovare luogo e spazio.

Anche in tal caso, nulla da osservare: ciascuno spende tempo e denari come desidera, tanto è vero che anche nel nostro Paese proliferano le “pasticcerie per cani” con consegne in 24 ore e gli accessori fashion per pet sempre più cool.

Di nuovo, la Laurent Simpson nella propria analisi si spinge oltre: il ruolo degli animali da compagnia, deliziosi, capricciosi e affettuosi, diventa sempre più il ruolo di un membro della famiglia, di una persona. Una persona umana.

Non vi è un vero confine, e gli «amici pelosetti» finiscono per catalizzare sentimenti e affetti che abitualmente si riversano su persone umane in carne ed ossa: cura, affetto, nutrimento, accudimento in senso proprio e in senso lato. Verso i figli, insomma.

I motivi sono numerosi, afferma la sociologa: la crisi demografica, la crisi economica, la crisi pandemica. Un’umanità sempre più sola e sconfortata, che non ha più il coraggio e gli attributi (si perdonerà la trivialità) per generare un figlio e occuparsene, “ripiega” sull’animale da compagnia. Scrivere “ripiega” fra virgolette ha un significato ben preciso: non vi è mancanza di rispetto o di empatia nei confronti di chi trovasse conforto nella compagnia e nella presenza di un animaletto. Purché sia chiaro che è una bestiola. Affettuosa, intelligente, divertente. Non una persona, però.

Eppure, continua l’articolo, «[…] nel bel mezzo di una pandemia globale, la spesa americana per questi membri della famiglia nel 2020 ha superato i 103 miliardi di dollari, un aumento di 6 miliardi di dollari rispetto alla spesa del 2019», e la questione assume un aspetto meno idealistico. Esattamente nel momento in cui, a causa della medesima pandemia, la crisi demografica si è acuita ulteriormente e tante coppie e tante famiglie hanno ritenuto di non avere modo e denari per far spazio a un bebè.

Particolarmente significativo, per chi fosse appassionato degli intrecci fra la lingua e la società corrente, come chi scrive, è la modalità con la quale sono appellati i proprietari di animali e gli animali medesimi. “Dog-mom”, “mamma”, “papà” (ma poi anche, a cascata, “nonni” e “fratellini/sorelline”) i primi. “Bimbi”, “pelosetti”, i “nostri piccoli” i secondi. Rispetto a tale questione, la Laurent Simpson sottolinea come la società statunitense sia passata a un livello superiore di considerazione degli animali, divenuti parte integrante della famiglia, sì, ma in modalità assolutamente “umana”.

Ancora, Andrea Laurent Simpson continua la propria analisi e spinge alla riflessione: l’accudimento degli animali domestici assume dimensioni notevoli, importanti, anche dal punto di vista economico. Addirittura, afferma, negli Stati Uniti d’America la generazione Z (i nati fra il 1995 e il 2010) e quella dei Millennial (1980-1990) esigerebbe dai datori di lavoro attenzione ai bisogni delle famiglie cosiddette multispecie, esattamente come la desidererebbe (se potesse, ahinoi) la famiglia naturale per la cura dei neonati e dei bambini. Si parla, nello specifico, della possibilità di portare gli animali sul posto di lavoro (pet-at-work) e di “asilo nido” per animali nei campus.

E a questo punto, in tutta sincerità, l’obiettivo appare fuori fuoco, se un figlio pare avere meno diritti e meno esigenze di un adorabile “pelosetto”.

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