Last updated on Ottobre 14th, 2021 at 01:02 pm
Lettori, una confessione personale. Sono felicissimo di saper leggere la realtà come il presidente del Southern Baptist Theological Seminary di Louisville, in Kentucky, Albert Mohler Jr., e non per vanagloriarmi, ma perché questo significa che la realtà è complessa e che spesso occorre attrezzarsi bene per difendersi dalle sue insidie.
Davanti alla recente decisione, il 27 settembre, del regime neo-post-nazional-comunista cinese di varare un pacchetto di misure atte a migliorare la «salute riproduttiva delle donne» comprendendovi la riduzione degli aborti per «scopi non medici», Mohler gioisce per il numero in meno di vite falcidiate, come ne gioisce il sottoscritto, ma rileva un criticità cruciale: la decisione di Pechino è ora contro l’aborto, ma non è universalmente a favore della vita.
«Il Partito Comunista Cinese», afferma il pastore, «vuole più bambini, vuole maggiore controllo e si appresta a esercitare il proprio dominio totalitario come da copione, quindi ora reprime l’aborto». Ma «si noterà come questo non promani dal rispetto della sacralità e della dignità della vita umana. Non è un elemento, questo, che faccia infatti parte della visione marxista delle cose. È piuttosto semplicemente dovuto al fatto di volere più figli che diventino piccoli soldati e piccoli lavoratori per l’industria».
Una differenza, quella fra antiabortismo e difesa della sacralità universale della vita, straordinariamente importante sul piano teoretico e che, come tutte le teoresi, ha una ricaduta immediata ed essenziale, direttamente consequenziale, sul piano morale. E la politica, si sa, è morale sociale. Il totalitarismo cinese usa della vita e della morte delle persone per esercitare il proprio potere, senza scrupoli e dunque sistematicamente contro l’uomo.
Gioca a fare dio, un dio antipaticamente gnostico, e lo fa senza vergogna alcuna. Uccide o salva, ma non rispetta l’intangibilità umana.
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