La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America si appresta a una sentenza storica, con cui si metterà finalmente fine alla bugia che pretende essere l’aborto un “diritto” umano garantito nel Paese dalla Costituzione a livello federale.
Su questa madre delle fake news campa di rendita da mezzo secolo una cultura mondiale che considera un avanzamento di civiltà globale il fare a pezzetti un bimbo ancora nel grembo della propria mamma. Ma, proprio perché questa è una menzogna micidiale, la Corte Suprema federale statunitense cerca ora, riparando un torto compiuto nel 1973 da quella stessa assise, ovviamente di composizione diversa, di ristabilire la verità dei fatti.
L’aborto non è un diritto umano. L’aborto non è garantito ai cittadini degli Stati Uniti d’America dalla Costituzione. L’aborto non è una prerogativa federale statunitense.
Siccome tutto questo è vero, chi è disposto a dare la propria vita e la propria carriera professionale affinché la menzogna trionfi, sta facendo il diavolo a quattro per cercare di attutire il colpo, di attenuarne la portata, di ammorbidirne l’effetto.
Le iniziative sono tante. Dapprima è stata diffusa a mezzo stampa la bozza di una opinione firmata dal giudice supremo Samuel A. Alito per intimidire l’intera assise. Qualche effetto la sortita lo ha ottenuto, visto che uno “squilibrato” ha annunciato alla polizia l’intenzione di uccidere uno dei nove giudici del massimo tribunale del Paese proprio per la sentenza sull’aborto attesa a giorni.
Poi si è offerto alle madri intenzionate a sopprimere la creatura che portano in grembo strategie di aggiramento dell’ostacolo. Quindi il Parlamento Europeo ha messo il proprio chip sul piatto, come a poker, mostrandosi pronto a sostituire gli Stati Uniti come missionari di morte.
Gli strateghi della «cultura di morte» insomma non riposano sugli allori.
Ora, tra le offensive messe in campo, quella predisposta dal periodico New York ha caratteristiche di eccezionalità. Eccelle per violenza visiva e verbale, psicologica e culturale. «Questa rivista può aiutarvi a ottenere un aborto». Ovvero: “Questa rivista può aiutarvi a uccidere vostro figlio”. “Questa rivista può aiutarvi a uccidere il bambino che portate in grembo”, “Questa rivista può aiutare vostra figlia, vostra sorella o vostra zia a uccidere il bambino che darebbe alla luce”, “Questa rivista può aiutarvi a uccidere una persona”, “Questa rivista può aiutarvi a uccidere un innocente”. Non succede nulla semplicemente perché l’aborto è un omicidio legalizzato, sennò si chiamerebbe subito il 911.
New York si propone come il «manabile» per «chiunque si trovi nel bisogno»: le “Pagine gialle” dell’aborto prêt-à-porter, il fai-da-te per tutte coloro che provino l’irrefrenabile “bisogno” di sopprimere un piccolo innocente ancora tutt’uno con sé, caso mai fosse sera tardi, il negozio all’angolo stesse per chiudere e non ci fosse nemmeno un bar aperto sulla tangenziale.
Per qualunque altra violazione della sacralità insindacabile della vita umana il mondo sobbalzerebbe sulla sedia, strepiterebbe, scenderebbe in piazza, si straccerebbe le vesti. V’immaginate una copertina di un rotocalco da edicola della stazione che dalla copertina urlasse a caratteri cubitali di essere l’abbecedario dell’ammazzamento del marito che russa, della suocera impicciona, del vicino di casa con il cane che abbaia sempre, del collega scocciatore o di quello là perché ha la pelle colorata diversamente dalla mia e di quell’altro che è di “razza inferiore”?
Per le creature più indifese e innocenti di tutto il novero umano, della storia e dell’universo intergalattico, invece, no: è normale, “giusto”, forse per qualcuno persino “bello”.
Mi guadagno il pane quotidiano come giornalista professionista da qualche anno. Mi chiedo come i colleghi che scrivono sul New York possano tacere davanti a una copertina pornografica e splatter come questa, al di là di come la pensino sull’aborto.
All’interno questo numero del New York sfoggia 15 pagine 15 di direttorio: nomi e indirizzi, Stato per Stato, utili a sopprimere il figlio che si porta in grembo. Il regnante Pontefice lo definirebbe il manuale del sicario.
All’aeroporto John F. Kennedy proprio di New York ho speso 6,99 dollari del mio sudato lavoro pro-life e pro-family per questo New York: per portare nelle vostre case queste foto raccapriccianti e raccontarvi queste foto horror. Il Cielo mi perdonerà per avere finanziato questa porcheria, ma è a fin di bene. Prometto che non lo farò più.
Alla fine ho voltato l’ultima pagina per chiudere definitivamente questo New York, e sul mio grugno si è sbattuta la pubblicità, nella location più ambita e costosa di tutto il periodico, della serie tivù Couples Therapy sul network statunitense Showtime. Tutto si tiene, mi dico mentre ripongo il fascicolo nel mio archivio, casomai un marziano del futuro anteriore volesse un dì provare a capire come abbia fatto il genere umano a uscir di cervello suicidandosi.
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