Parlare di disabilità e di disabili non è semplice. A seconda di chi lo fa, e del motivo per cui lo fa, il rischio è di apparire ipocriti, falsamente compassionevoli, oppure di comportarsi come burocrati freddi, senza empatia. Lo stesso vale quando si parla di caregiver, quelle figure di familiari che dei disabili si occupano, di giorno e di notte, in vacanza, quando stanno bene e quando invece sono malati. Immedesimarsi nei loro panni faticosi è arduo.
Non stupisce, pertanto, l’ondata di polemiche sollevata dal questionario che nei giorni scorsi alcuni Comuni, su delibera della Regione Lazio, hanno distribuito alle famiglie dei disabili gravi per accedere ai fondi destinati, appunto, alle famiglie che se ne prendono cura. Si tratta in realtà di un testo «[…] redatto su linee guida riconosciute sul piano internazionale. E che viene adottato da tutti gli enti pubblici, italiani e non, che devono valutare il grado di stress di chi accudisce le persone con disabilità, spesso familiari del malato».
Nondimeno, alcune delle domande, cui occorre rispondere indicando semplicemente l’intensità del sentimento provato, in una scala da 0 a 4, hanno scosso molti dei riceventi. «Quanto ti vergogni del tuo familiare disabile?», una su tutte. La Regione, a seguito delle polemiche, rimbalzate sui giornali e sui social in tempi rapidissimi, ha disposto il ritiro del questionario.
La reazione della giornalista Selvaggia Lucarelli
Se ne è occupata, con un taglio molto personale, Selvaggia Lucarelli, giornalista e opinionista nota, che accudisce attualmente il padre anziano e che, al contrario di altri, giudica adeguato il questionario. Esso, a suo avviso, non urta alcuna suscettibilità ma invece la fa sentire «[…] accarezzata e compresa da quelle domande perché sono domande formulate da chi conosce la pressione fisica e psicologica che subisce il caregiver, una pressione che prescinde dall’amore per il familiare disabile e che va raccontata a voce alta, senza vergogna e sensi di colpa». Sottolinea, la Lucarelli, che la polemica si sarebbe sviluppata specialmente a livello politico, con Giorgia Meloni e Matteo Salvini che avrebbero approfittato dell’occasione per attaccare la Giunta del neoeletto sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il distretto socio-sanitario della Regione Lazio.
La reazione delle famiglie
La pensano diversamente altre persone, persone comuni, che di quello che è stato definito un «questionario-choc» hanno invece colto l’assurdità dell’ennesimo foglio di carta da presentare, come fanno ogni anno, insieme a una pila di altre scartoffie, come se una certificazione di disabilità grave emesso da una ASL, la dichiarazione dei redditi, il modulo ISEE accuratamente compilato non fossero sufficienti per ricevere fondi necessari, fondi indispensabili, fondi dovuti.
La figura del caregiver in Italia vive una condizione di grave difficoltà. Il periodo di crisi pandemica dovuta al CoVid-19, con i suoi lunghi e faticosi lockdown e la sospensione di molti servizi, ha messo in luce con chiarezza una situazione per alcuni ai limiti del sopportabile. Eppure, chi si occupa di un familiare con disabilità grave non può certo mollare.
In una condizione simile, non sono stati pochi i caregiver che si sono sentiti colpiti negativamente dalle domande del questionario, improntate a una certa retorica, un poco moralistiche, quasi “vittimizzanti”. Ciò che i caregiver vorrebbero vedersi riconosciute sono, oltre ai contributi necessari ad assistere al meglio i propri cari, le competenze acquisite, le capacità sviluppate, il ruolo sociale fondamentale e indispensabile che essi svolgono.
«Ci saremmo aspettati altre domande, una ricerca più pertinente degli ostacoli, delle difficoltà e dei limiti quotidiani che logorano la vita del caregiver oggi», afferma sul sito web del quotidiano Domani la madre di un bambino di 9 anni gravemente disabile, che la donna assiste quotidianamente in tutto. Per esempio, «se per andare in vacanza viene sospesa o si rischia di perdere l’assistenza infermieristica perché le ferie per la persona disabile e il caregiver non sono ritenute un diritto e nemmeno una cura».
«Non si domanda se gli ausili forniti per facilitare la mobilità e le attività della persona disabile siano adeguati», continua, «quale sia il peso del carico burocratico, del ruolo di interfaccia continua con tutte le amministrazioni e servizi ospedalieri: gare d’appalto, a volte trimestrali, per forniture e ausili, file in Asl ogni mese per ritirare medicinali e nutrizione enterale, rendicontazione delle spese. Oppure, per esempio, quante volte si è trovato occupato il posto disabili assegnato o è stata danneggiata la macchina perché quel parcheggio sotto l’abitazione viene percepito da alcuni come un privilegio. Lo stress del caregiver, la sua fatica, dipendono anche da questi fattori».
Il mancato riconoscimento del ruolo sociale del caregiver
Rispetto al questionario, quello «[…] proposto non tocca nessuno di questi punti, al contrario appare intriso di cultura moralista e colpevolizzante e mostra di guardare al caregiver come a un potenziale malato da sottoporre a tutela psicoclinica. Un approccio minorizzante che non vede in chi si prende cura di persone che necessitano un’assistenza continuativa ad alta intensità la presenza di professionalità e competenze acquisite nel tempo».
«Un valore aggiunto di cui si ignora la preziosità sociale», conclude. Come, è necessario aggiungere, troppe volte l’Italia ignora la preziosità sociale della famiglia in generale, non solo in situazioni di particolare difficoltà, ma anche nella vita quotidiana di tutti, per la cura dei bambini, dei ragazzi, degli anziani pur autosufficienti. Mettere la famiglia al centro, allora, non può essere solo uno slogan, ma dovrebbe diventare il punto esatto da cui ripartire. È questo, forse, che la politica dovrebbe imparare da vicende come quella del Lazio.
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