Last updated on Settembre 22nd, 2021 at 07:55 am
Non è una novità la proposta arrivata da più scienziati che, a fronte di disastri ambientali sempre più estremi e diffusi, si dovrebbe ricorrere a forme di alimentazione innovative, come cavallette, vermi e insetti vari. Lo stesso «iFamNews» ha iniziato la propria avventura riportando la proposta shock del professore svedese Magnus Soderlund, docente di marketing nella Stockholm School of Economics, secondo il quale «abituandosi gradualmente al gusto della nostra carne potremmo arrivare a considerare il cannibalismo non più tabù». Proprio così: secondo lo studioso comportamentista si dovrebbe iniziare a considerare la possibilità di mangiare animali domestici e persino esseri umani. Una proposta non nuova, per altro, ma già anticipata dal noto biologo britannico Richard Dawkins, che aveva ipotizzato la possibilità di coltivare in laboratorio cellule staminali di un essere umano, facendole maturare in carne commestibile all’uomo.
Ricreare un mammut in laboratorio
Mentre la pandemia, con tutte le proprie conseguenze, pare concentrare l’attenzione e le energie dei governi e dei mass media mondiali, il mondo della scienza sembra stia guardando altrove. Speriamo che sia un buon segno. Fra i tentativi di raggiungere l’immortalità, sostenuti da multimiliardari, e ricchissimi finanziamenti elargiti per «sviluppare e promuovere risposte a lungo termine alle più grandi sfide che l’umanità deve affrontare oggi», c’è chi ha scelto di investire quindici milioni di dollari per finanziare il tentativo di «far rivivere il mammut lanoso, una specie scomparsa circa 4000 anni fa». Si tratta dell’imprenditore del settore high-tech Ben Lamm, che insieme al genetista americano George Church, della Harvard University, ha fondato la società di bioscienze e genetica Collossal, proprio al fine di ricreare un mammut in laboratorio.
Non è neppure una impresa totalmente innovativa: già nel 2011 alcuni scienziati giapponesi avevano previsto di riuscire a clonare un mammut lanoso entro cinque anni. Pare non abbiano avuto fortuna, nel loro tentativo di replicare il DNA estratto dai corpi di mammut trovati in Siberia e inserirlo in ovuli di elefante africano, dopo averne rimosso il DNA.
Obiettivo del professor Church, però, non è già la clonazione, dal momento che il DNA estratto dai resti di mammut congelato nel permafrost è troppo frammentato e degradato: il genetista americano punta piuttosto a creare, tramite l’ingegneria genetica, un ibrido di elefante-mammut.
Poterlo fare è una ragione sufficiente per farlo davvero?
Il suo team ha già analizzato i genomi di 23 specie di elefanti viventi e mammut estinti e gli scienziati prevedono che dovranno operare più di 50 modifiche al codice genetico dell’elefante asiatico, per dargli le caratteristiche indispensabili per vivere nell’Artico, a partire dai peli doppi e dallo strato di grasso necessario per sopravvivere ai rigidi climi della tundra siberiana.
Non tutti gli scienziati condividono però l’entusiasmo di Church e Lamm: il docente di genetica evolutiva nel Centro di Paleontologia di Stoccolma, Love Dalèn, pur riconoscendo il valore di una ricerca che si occupa di conservare le specie in via di estinzione, è però scettico circa l’obiettivo particolare di questa impresa: «anzitutto, afferma, non si ottiene un mammut, ma un elefante peloso con depositi di grasso».
Effettivamente sorge spontaneo domandarsi a qual scopo riportare in vita questi giganti della tundra. La risposta di Lamm ha a che vedere – avremmo dovuto immaginarlo fin subito – con i cambiamenti climatici: la speranza è che la presenza dei mammut rinvigorisca la tundra, contribuendo ad «assorbire l’anidride carbonica presente nell’atmosfera e a rinfrangere i raggi ultravioletti della luce solare, limitando in questo modo gli effetti del riscaldamento globale».
Che sapore ha la carne di mammut?
«Un uomo dedica tutte le sue energie all’unico scopo di soddisfare una sua curiosità, ed ecco che, senza che ne avesse la benché minima intenzione, si ritrova ad essere un benefattore dell’umanità». Chissà se questa affermazione, tratta dalla novella A Statue for Father, del 1959, del divulgatore scientifico e gigante della fantascienza Isaac Asimov, non possa essere pronunciata, un giorno, dai discendenti di Lamm o di Church…
Nella finizione fantascientifica, sta parlando il figlio di un fisico teorico, dedito allo studio dei rapporti matematici che regolano l’universo. Lavorando nell’ambito delle ricerche sul viaggio nel tempo, il povero professore universitario, privo di qualsiasi fondo governativo a causa dei suoi ripetuti fallimenti, riuscì una sola volta, per un breve istante, a “uncinare” un “cronocanale”, aprendo così una finestra sul passato remoto dell’umanità. Un attimo brevissimo, ma cruciale per gli esiti a lungo termine: dal passato venne riportato «un blocco di fango secco […] e dentro il fango c’erano quattordici grosse uova». Si trattava di piccoli dinosauri, grandi quanto un cane di mezza taglia, che nascondevano però una caratteristica particolarissima: il sapore della carne di dinopollo lo rendeva un cibo nei confronti della quale qualsiasi altra diventa «qualcosa che serve a malapena a tenere insieme corpo e anima». La famiglia del fisico aprì un allevamento di dinopolli, diventando unica fornitrice della catena mondiale di ristoranti a esso dedicato. Valanghe di denaro, e riconoscimento pubblico concretizzato in più monumenti celebrativi eretti “All’Uomo che ha dato al Mondo il Dinopollo” non furono sufficienti per quello studioso che fino all’ultimo giorno della sua vita, «non desiderò altro che scoprire il segreto dei viaggi nel tempo». Ancorché considerato «un benefattore dell’umanità», morì senza che la sua curiosità fosse soddisfatta.
Non sono nuove ai lettori di «iFamNews» le capacità profetiche del prolificissimo scrittore russo naturalizzato americano e per questo non parrà strano l’interrogativo emerso in redazione di fronte alla strabiliante notizia della “rinascita” dei preistorici pachidermi: ma che sapore avrà la carne di mammut?
In fondo si tratterebbe di un’alternativa migliore al cannibalismo. Né siamo i primi a chiedercelo…
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