Last updated on Maggio 25th, 2021 at 03:06 am
Era il 2 aprile 2020, quando il ministro per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, prometteva, parlando in diretta, ospite del Forum delle Associazioni Familiari, un aiuto immediato alle famiglie italiane travolte dalla pandemia: un assegno universale del valore variabile compreso tra gli 80 e i 160 euro per ogni figlio di età inferiore ai 14 anni. Tale fu il credito dato in quel momento al ministro che addirittura si sollevò una reazione da parte delle famiglie numerose: lanciando lo slogan #ognifigliovale, domandarono che l’assegno fosse esteso a tutti i figli a carico, indipendentemente dall’età. E il cosiddetto «Decreto rilancio», del maggio 2020, non può certo essere accusato di avere perpetrato discriminazioni sulla base dell’anno di nascita dei figli: l’assegno universale tanto sbandierato dal ministro fu semplicemente escluso e tutte le famiglie restarono a bocca asciutta. La Bonetti commentò così «questa è stata la mia proposta che stranamente non sembra essere condivisa dagli altri partiti di maggioranza. Sembra che su questa partita non si vogliano trovare le risorse». Davvero una stranezza.
Un anno è trascorso, il governo è cambiato – il ministro invece è sempre il medesimo – e il 6 aprile 2021, sulla Gazzetta Ufficiale, è stata pubblicata la legge delega che definisce le regole alla base del nuovo strumento di supporto alle famiglie, il cosiddetto «Assegno unico figli 2021». Le finalità esplicitamente espresse sono «favorire la natalità, sostenere la genitorialità e promuovere l’occupazione, in particolare femminile». Che la promozione dell’occupazione “in particolare femminile” sia sempre nei pensieri del ministro Bonetti era già più che evidente : l’intenzione di introdurre stili di vita imposti per legge, al fine di operare un vero e proprio “cambio di paradigma” attraverso politiche che imprimano un mutamento ai processi produttivi, modifichino la struttura sociale e abbiano un impatto culturale è progetto esplicito, cui anche la misura dell’assegno universale deve necessariamente concorrere, come se il sostegno alla famiglia in sé non fosse intento sufficientemente nobile.
La novità principale dell’assegno universale pare effettivamente ragionevole: concentrare in un’unica soluzione tutti i vari aiuti già esistenti per le famiglie, semplificando e snellendo meandri di burocrazie kafkiane. Spariscono dunque detrazioni, bonus e assegni familiari, ma dal settimo mese di gravidanza al compimento dei 21 anni del figlio il Governo si impegna a corrispondere un assegno mensile (o credito d’imposta) dall’importo variabile – in base all’ISEE e all’età del figlio – a tutte le famiglie, compresi incapienti e partite Iva, fino ad ora esclusi dalla maggior parte dei sostegni per i figli.
Resta il nodo dei decreti attuativi: i tempi sono strettissimi, visto che la promessa del Governo è l’avvio del nuovo strumento a sostegno delle famiglie già dal 1° luglio 2021. Il fatto che sia nel 2019 sia nel 2020, con l’introduzione delle nuove modalità telematiche di presentazione delle domande per gli assegni familiari, si siano verificati ritardi importanti nell’iter di autorizzazione da parte dell’Inps, solleva non poche preoccupazioni nelle famiglie. L’assegno unico universale, probabilmente, avrà inoltre una componente fissa e una variabile, questa seconda in base all’ISEE di cui tutte le famiglie dovranno dotarsi – piccolo problema anche questo per le previste corse ai CAF incapaci di sostenere in breve tempo l’impatto di 12 milioni di famiglie richiedenti.
Quel che pare ormai abbastanza chiaro – basta una calcolatrice alla mano – è che l’annuncio del premier Mario Draghi «arriva il primo luglio, 250 euro a figlio», non corrisponde a quel che sarà la realtà dei fatti: al momento sono stati stanziati 20 miliardi di euro, per questo strumento, di cui due terzi recuperati dall’eliminazione delle attuali misure previste per le famiglie, una cifra insufficiente per garantire 250 euro per ogni figlio. Secondo alcune simulazioni, per le famiglie con ISEE inferiore a 30mila euro, si tratterà di 161 euro per ogni figlio minore, che scenderanno fino a 67 euro per le famiglie con più di 52mila euro di ISEE. L’assegno cala per i figli maggiorenni – che potrebbero anche riceverlo direttamente – e aumenta, nei nuclei familiari numerosi, dal terzo figlio in poi e per i figli disabili. Non tutti ci guadagneranno: si parla addirittura di un 29,7% di famiglie che si troveranno ad avere un peggioramento. Una famiglia su tre (nuclei con figli over 21 a carico, esclusi dalla norma, famiglie particolarmente numerose, coppie di fatto, chi possiede patrimoni mobiliari e immobiliari) percepirà una cifra inferiore a quella degli anni precedenti, a meno che i decreti attuativi prevedano veramente la tanto annunciata «clausola di salvaguardia».
Di fronte a una narrazione governativa, per cui in tempi brevi ogni famiglia si troverà in tasca una cifra significativa a sostegno dell’accudimento dei figli, risponde una realtà fatta di incertezze, dove è certo quel che si va a perdere – i già scarsi “privilegi” passati – e non si sa ancora cosa se ne avrà in cambio. Anche nella più rosea delle ipotesi, resta il giudizio già espresso su “iFamNews”: di fronte a una crisi demografica gravissima la politica italiana, già maglia nera per gli aiuti alle famiglie, continua a non farcela, immaginando di risolvere un enorme problema culturale applicando una “pezza” di matrice esclusivamente economica, per altro ancora insufficiente. Se l’investimento per la famiglia nel 2017 era pari all’1,1% del PIL (contro una media UE pari al 2,2%, cioè il doppio esatto), questa riforma avvicinerebbe l’Italia a quota 1,5% – ancora ben al di sotto dei tanto sbandierati, in altre circostanze, standard europei.
In questo scenario il ministro Bonetti è impegnato a redigere il decreto attuativo per un’altra grande riforma: il bonus casalinghe 2021. Ben 3 milioni di euro sono già stati stanziati, a partire dallo scorso anno, per un incentivo che prevede non l’erogazione di un assegno, bensì un «credito di imposta che può essere investito in corsi di formazione che riguardano specialmente il settore digitale». Corsi di alfabetizzazione informatica, insomma: ecco la realizzazione di una «azione educativa che rimuova dalle radici i troppi stereotipi alla base di ogni discriminazione», come si esprimeva già mesi fa il ministro Bonetti, considerando esplicitamente le casalinghe «potenziale femminile ancora inespresso», bisognoso di una “liberazione”.
Una visione miope e drammaticamente distante dal Paese reale, dove quotidianamente le famiglie e le donne in particolare – casalinghe, lavoratrici, mogli, mamme, nonne, insegnanti– combattono da mesi indefessamente, affrontando restrizioni, lockdown, didattica a distanza, malattie, lutti, difficoltà di ogni genere. Un potenziale attivo, attivissimo in prima linea, capace di sacrificio, dedizione e dono di sé. Finché questa ricchezza reale non verrà riconosciuta per il suo valore, eclissata dalle tensioni verso “nuovi paradigmi” illiberalmente imposti per legge, nessuna “riforma” potrà far fronte ai bisogni concreti delle famiglie, ancora una volta umiliate da una politica fatta solo di promesse.