Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:06 pm
Caro presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, oggi è il 22 dicembre 2020. Sì, lo so benissimo che non aveva bisogno del sottoscritto per rammentarsene, e infatti la puntualizzazione è a beneficio di chi ci sta leggendo.
Certo, anche chi ci sta leggendo sa che giorno è oggi. Ma forse non tutti ricordano che il 22 dicembre di 73 anni fa, nel 1947, l’Assemblea costituente approvò la Costituzione italiana, entrata in vigore a panettone digerito, il 27.
L’abbiamo ancora quella Costituzione. Il suo Articolo 29 è immutato: uguale e identico, tanto quanto chiaro e netto. Recita così: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare».
Ecco, si ha come l’impressione che, uno dopo l’altro, provvedimenti, decreti, leggi, regolamenti applicativi, giudizi, sentenze, prese di posizioni e una ridda (= frenetico ballo antico a guisa di girotondo) di «secondo me» stiano erodendo quel principio ancestrale e apodittico che fonda ogni edificio sociale umano da che mondo è mondo, e che proprio per questo, senz’alcuno sforzo riconosce pure la Costituzione italiana. Non bisogna infatti essere particolarmente buoni o bravi per riconoscere un fatto.
In Italia, dunque, la famiglia è soggetto di diritti poiché è società naturale e come tale innegabile, incancellabile. Affermare che sia società naturale significa dire che non è costruzione umana a posteriori giacché è la condizione a priori in cui l’uomo si trova a nascere in ragione della natura che lo costituisce.
La famiglia si fonda sul matrimonio poiché altrimenti, invece di essere famiglia, è altro. Il club del tè o il circolo di caccia e pesca: qualsiasi cosa, ma non famiglia. Il matrimonio, insegnano i nostri padri latini, è il dono che a questa società naturale primigenia reca la donna: la vita. Bisogna essere donna, cioè, per essere madre, poiché, pur con tutti gli sforzi di immaginazione in cui ci si possa esercitare, il maschio non può portare dentro di sé e allevare, accudendola, la vita.
Il maschio contribuisce con il dono del padre, il patrimonio, sempre secondo i nostri padri latini. Così, laddove la madre porta la vita alla famiglia, il padre procura sostentamento e difesa. Pari in dignità infatti sono la mamma e il papà della famiglia, come appunto dice la Costituzione del Belpaese.
Perché allora farne una groviera?
Riparta, piuttosto, la nostra Costituzione dal principio e fondamento, vale a dire dalla famiglia che è di matrimonio più patrimonio, quindi di diritto alla vita e al sostentamento smettendola con il latte cagliato del gender, delle convivenze alternative, delle adozioni omosessuali, dell’«utero in affitto», dei nonni siringati, della fiscalità persecutoria e dell’educazione di regime. Questa modesta proposta nel giorno in cui anche Lei celebra la nascita dell’Italia repubblicana aiuterebbe a liberarsi dell’ideologia dei molti, troppi che oggi fanno della Costituzione italiana, all’articolo 29, carne suina di scarsissima qualità.