Sempre più aziende stanno introducendo oggi il cosiddetto «congedo mestruale», ovvero la possibilità di una pausa lavorativa qualora alcuni giorni del ciclo mestruale siano particolarmente dolorosi per le donne. Ha fatto da apripista il Giappone, che l’ha introdotto già nel lontano 1947, seguito dall’Indonesia, dalla Francia e dalla Spagna. In Italia, il dibattito è fermo dal 2016.
Nessun dubbio che tale permesso riguardi le donne. Solo le donne. Esclusivamente le donne. E chi altri mai, sennò? Contro i fatti non vale alcuna elucubrazione e che il ciclo mestruale riguardi le donne, solo le donne, esclusivamente le donne non ci vuole certo una laurea in ginecologia o in andrologia per saperlo.
Ma il nostro è un mondo bislacco che ama le novità sciocche, tanto che, per quanto la si sappia lunga, sembra non esserci mai un limite. Ed ecco allora che in India la Zomato, una multinazionale che offre servizi online per la ricerca di ristoranti e la consegna di cibo a domicilio, annuncia l’introduzione di un «congedo mestruale», e ovviamente retribuito, e di ben dieci giorni all’anno, per le dipendenti donne, ovvio, ci mancherebbe, naturale, giusto, e però pure per i dipendenti transgender, qualsiasi cosa questo voglia dire, in patria così come in tutti i Paesi in cui opera.
È stato l’amministratore della società, Deepinder Goyal, a renderlo pubblico l’8 agosto dell’anno scorso con una comunicazione ufficiale, spiegando che l’azienda vuole «favorire una cultura basata sulla fiducia, sulla verità e sull’accettazione».
Alla faccia della verità: per quanto si sforzino di percepirsi donne, e si autoconvincano di avere un apparato genitale femminile, nessun uomo né ce l’ha né lo può avere. Quand’anche un uomo ricorresse al bisturi del chirurgo, scimmiotterebbe morfologicamente l’apparto genitale femminile ma non lo possederebbe in alcun modo. Tanto meno la capacità di mettere al mondo figli, dunque di ovulare, dunque di avere il ciclo mestruale.
La “verità” che Goyal ha scomodato per supportare una decisione completamente ideologica, ma anzitutto stupida e risibile, è infatti un’altra: i diritti delle donne sono diventati un vero e proprio terreno di caccia per i transgender. Lo dimostra la solfa dalle competizioni sportive taroccate. Poi c’è la presa in giro, e questa adultera anche la politica. In Messico, infatti, per aggirare l’imposizione di quote rosa, alcuni candidati maschi si sono disinvoltamente dichiarati femmine.
Del resto adesso si parla pure di “quote arcobaleno” alle elezioni: una proposta “illuminata” che arriva dalla Gran Bretagna e per la precisione dalla Financial conduct authority, ovvero l’ente che tutela i consumatori controllando il rispetto della concorrenza sui mercati finanziari.
Mentre aspettiamo i cortei delle femministe per protestare contro questa palese ingerenza che, in maniera faziosa, estromette un buon numero di donne dal mercato, già ci sembra di vedere la fila dal medico di famiglia di tanti maschietti che improvvisamente di sentono femmine e lamentano dolori al ventre per sfruttare sotto l’ombrellone un bel congedo pagato. Io sono ciò che mi sento essere: secoli di lotta per l’emancipazione ridotti alla burletta di un soggettivismo da Bar Sport.
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