Last updated on Giugno 30th, 2021 at 04:05 am
Circa 120 milioni di euro l’anno, ovvero quasi 5 miliardi in totale. In quarant’anni – dal 1978 al 2018 – la legge sull’aborto ha comportato, per le casse statali italiane, un onere poderoso. Se questa cifra fosse stata accantonata in un fondo destinato a impieghi produttivi, la sua capitalizzazione ammonterebbe oggi a 11 miliardi e 209 milioni. È quanto appunto dimostra il documento I costi di applicazione della legge 194/78 in Italia. Presentato lunedì scorso all’Università LUMSA di Roma, è il primo rapporto, in più di quattro decenni, che analizza gli effetti anche economici della legalizzazione dell’aborto. Alla sua stesura hanno lavorato economisti, medici e giuristi.
In punta di danaro
In punta di danaro si potrebbe allora propendere per l’aborto farmacologico. Una pillola, di rapida assunzione, potrebbe assorbire il dispendio economico generato dall’aborto chirurgico. Così fosse, il documento rappresenterebbe persino un alleato dei fautori dell’aborto fai-da-te: se le donne interrompono la gravidanza a casa, da sole, pesano di meno sulle casse dello Stato.
Ma è davvero così? Niente affatto, almeno secondo Benedetto Rocchi, professore associato nel Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa dell’Università di Firenze, tra gli estensori del documento. «Non è affatto certo che l’aborto farmacologico comporti in media un onere finanziario minore di quello chirurgico se si prendono in considerazioni tutte le componenti del costo», dice Rocchi ad «iFamNews».
I costi
Nel dettaglio, l’economista spiega quali siano queste componenti: «La precocità dell’aborto farmacologico (al momento entro la nona settimana) comporta un aumento di costi per la diagnostica genetica che tende a spostarsi verso le metodiche più precise, ma decisamente più onerose per il servizio pubblico, come il NIPT, cioè i test di screening prenatale non invasivi».
Non solo. Rocchi sottolinea che «le complicanze immediate e nel medio periodo dell’aborto farmacologico sono più frequenti e oggi, per esplicita ammissione delle stesse relazioni al Parlamento sulla legge, la rilevazione statistica delle complicanze riconducibili all’aborto volontario è fortemente lacunosa». Approfondire questi aspetti è l’obiettivo, prosegue Rocchi, dell’Osservatorio permanente sull’applicazione della Legge 194 lanciato dagli autori del Rapporto. Solo così si potrà giungere, osserva, «a una migliore quantificazione dei costi delle procedure abortive tramite farmaci».
Efficacia della cura, non efficienza della spesa
Rocchi rileva inoltre che, «anche nel caso – tutto da dimostrare – che i costi dell’aborto farmacologico fossero mediamente inferiori, la sostituzione delle procedure chirurgiche con procedure farmacologiche comporterebbe, accanto al risparmio finanziario, una peggiore prevenzione dei rischi per la salute della donna». E «questo non sembra accettabile visti gli obiettivi del Sistema Sanitario Nazionale, che dovrebbe privilegiare l’efficacia della cura rispetto all’efficienza della spesa».
Per paradosso, d’altronde, se a prevalere in sanità fosse l’efficienza della spesa, cinicamente si potrebbe giustificare l’uccisione degli anziani che rappresentano un costo spesso destinato a protrarsi per anni.
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