Aborto, LGBT+, «utero in affitto»: la “sussidiarietà” di Citibank

Il gruppo bancario sostiene l’agenda «woke» e tutto ciò che concerne l’«assistenza sanitaria riproduttiva»

Citibank

Image from Mike Mozart (Flickr)

Che la maggior parte dei grandi gruppi bancari sia di inclinazione anti-natalista non è un mistero, ma negli ultimi tempi questo orientamento è diventato sempre più esplicito. Basta per esempio leggere la convocazione del meeting annuale di uno dei colossi mondiali del settore, Citibank.

«A fronte dei cambiamenti introdotti nelle leggi di alcuni Stati dell’Unione nordamericana sull’assistenza sanitaria in ambito riproduttivo, ecco i vamntaggi che a partire dal 2022 offriamo a chi viaggia onde facilitarne l’accesso a prestazioni adeguate», si legge nelle ben di 152 pagine del documento di Citibank.

In termini concreti, le facilitazioni avanzate dal gruppo fiqnanziario comprendono, tra le altre cose, la copertura delle spese di viaggio per le dipendenti residenti in Texas che si rechini ad abortire in un altro Stato dell’Unione, dopo le restrizioni sancite dalla legge salvavita entrata in vigore ill 1° settembre 2021. È come se Citibank proponesse la “sussidiarietà”, svolgendo servizi che lo Stato non permette.

Antirazzismo di facciata

Ma la gamma di “benefit” offerti dal gruppo bancario statunitense non si ferma qui. I suoi dirigenti confermano l’impegno ad «ampliare la copertura medica per l’affermazione di genere» e a incorporarla nei proprio «piano medico di base in tutto il mondo».

Terzo ambito di azione è la «maternità surrogata». «Abbiamo migliorato la copertura per la fertilità e il sostegno alle giovani famiglie, in qualunque modo esse siano composte», si legge nel memorandum della banca. «Il nuovo programma di assistenza per l’adozione e per la maternità surrogata di Citi prevede rimborsi per contribuire […] alle adozioni di bimbi o agli accordi di maternità surrogata».

Perfettamente in linea con l’agenda woke, i programmi di Citibank includono poi certe discutibilissime operazioni anti-discriminatorie di mera facciata. «L’aumento, a livello globale, nel numero di dipendenti donne e neri negli Stati Uniti» sta infatti motivando Citibank a «colmare ulteriormente il divario retributivo lordo».

Per i dirigenti, che vanno dal vicepresidente all’amministratore delegato, la banca stabilisce «obiettivi di rappresentanza del 40% per le donne […] e dell’8% per i neri negli Stati Uniti entro la fine del 2021». Intanto, al 31 dicembre 2021, Citibank «ha superato gli obiettivi prefissati» sia per le donne (40,6%) sia per i neri (8,1%), facendo insomma sì che nelle promozioni non conti più il merito effettivo lavorativo, bensì solo il genere e l’appartenenza etnica.

Cui prodest?

C’è poi l’impegno a «fornire accesso maggiore alle banche e al credito nelle comunità di colore, ad aumentare gli investimenti nelle attività proprietarie nonché la disponibilità degli alloggi e delle case a prezzi accessibili tra i neri, e a promuovere politiche antirazziste».

Citibank, e la sua Citi Foundation, hanno investito 1 miliardo di dollari nell’«Action for Racial Equity», ma si tratta di operazioni prettamente ideologiche che mirano soltanto, appunto per ideologia, a sostenere le ragioni degli afroamericani, trascurando totalmente gli ispanici, gli asiatici, i mediorientali e ogni altra minoranze, con buona pace dell’«equità razziale». Tutto ciò, oltretutto, in violazione delle leggi sui diritti civili, che vietano di offrire corsie preferenziali per determinati gruppi etnici a discapito di altri.

Aborto, LGBT+ e «utero in affitto» per aumentare i dividendi. La parola passa dunque ai clienti.

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