Un’eventuale proibizione delle cosiddette «terapie riprative» nel Regno Unito comporterebbe un grosso danno per tanti bambini e ragazzi confusi e fragili. La questione va infatti molto al di là dell’identità di genere. E questo il punto di vista dell’Association of Christian Teachers (ACT), che si è pronunciata a proposito della consultazione online sul tema lanciata dal ministero dell’Istruzione britannico, che si concluderà il 4 febbraio.
In una lettera indirizzata al ministro all’Istruzione, Nadhim Zahawi, la direttrice esecutiva di ACT, Elizabeth Harewood, esprime le «preoccupazioni» degli insegnanti cristiani. I bambini, sostiene la Harewood, non debbono essere «costretti a prendere una posizione o una decisione contro la loro volontà».
Libertà religiosa nel mirino
L’ACT suggerisce del resto che, prima che il bando delle «terapie riparative» sia definitivo, il Ministero prenda in considerazione seriamente tutte le problematiche che ne emergerebbero. Infatti, in primo luogo il bando rischierebbe di «danneggiare i bambini» bisognosi di confronto con un insegnante o con un educatore, «in particolare quelli che non vogliono cambiare il sesso loro assegnato alla nascita, nonostante sentimenti di disforia». I procedimenti penali contro gli insegnanti che propongono «terapie riprative» significherebbero dunque lasciare questi alunni «pericolosamente privi di sostegno».
Accanto al vulnus nella psiche dei più piccoli risulterebbe poi ferita anche il diritto alla libertà religiosa di insegnanti e di cappellani, impossibilitati a trasmettere una pedagogia cristiana, fondata sulla binarietà maschio/femmina. «Se un bambino o un giovane richiedesse volontariamente di pregare per sentimenti disforici indesiderati», si legge nella lettera dell’ACT, «l’offerta della preghiera attraverso una conversazione di natura pastorale, anche in linea con i desideri del bambino, potrebbe venire criminalizzata». Si tratterebbe, dunque, di una «violazione dei loro diritti umani», andando a «discriminare le stesse tradizioni e convinzioni religiose in cui essi si risconoscono».
Disabili psichici alla mercé dell’ideologia gender
Un risvolto peculiare della questione riguarda quindi i bambini e ragazzi autistici o affetti da disabilità psichiche, che, affermano gli insegnanti cristiani britannici, avrebbero «molte più probabilità di sperimentare la disforia di genere». Con il risultato che molti di questi minori verrebbero destinati a «procedure mediche o chirurgiche radicali», in luogo del «supporto misurato e complesso» che invece meriterebbero. Sarebbe quindi «costretti e influenzati a prendere decisioni senza un adeguato consenso informato».
In generale, comunque, l’ACT considera fuorviante definire «terapie di conversione» qualunque tipo di discussione, anche «sfumata», che aiuti i bambini a «esplorare le questioni di genere e sessualità» e il relativo «disagio» che può derivarne. Ritenere qualunque approccio complesso e non “a senso unico” nei confronti del bambino che soffre di disforia di genere come un invito a «convertirsi», sarebbe dunque «troppo semplicistico e profondamente dannoso».
Gli insegnanti cristiani britannici concludono sottolineando il rischio di chiusura per le «scuole che adottano un’etica cristiana», nel caso in cui «lo Stato intervenisse nella loro opera pastorale», auspicando che non si debba mai arrivare al reato d’opinione e alla «criminalizzazione» delle loro proposte educative.
L’appello di ACT al governo è quindi per una «sospensione» della proposta legislativa di bando delle terapie riparative, affinché i punti delineati nella loro lettera possano essere «pienamente presi in considerazione».
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