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«Unplanned» in Italia

Molti lo hanno visto, moltissimi lo vedranno e rivedranno. Perché da una storia così non puoi sottrarti. E non puoi smettere di pensarci

Marco Respinti di Marco Respinti
19/06/2021
in Editoriali, Vita
723
Reading Time: 5 mins read
0
Unplanned
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Last updated on Luglio 29th, 2021 at 02:19 am

Finalmente arriva anche nelle sale italiane Unplanned, un film che nessuno può perdere. Pubblicata il 3 aprile 2019 su La nuova Bussola Quotidiana, la recensione che segue ‒ del direttore, il quale vide il film in anteprima al termine del Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona, nel 2019 ‒ conserva ancora utilità. Intanto si possono acquistare i biglietti per la proiezione.

Calano le luci. Immagini di amena vita familiare. Poi, a pochi quadri dall’inizio, il pugno arriva diritto nello stomaco. Assisti a un aborto. Ricreato per il cinema, lo sai, ma in quel momento lo dimentichi apposta, hai già sospeso la tua incredulità, sei totalmente dentro, sei là dove e mentre sta accadendo. Ti dimeni sulla poltroncina, incapace di resistere. Vorresti strapparti le vesti, vuoi vomitare. Boccheggi, ti manca l’aria, pensi di mandare tutti alla malora e scappare lontano. La testa ti gira. Lo odi quel film, lo maledici, specie il momento in cui hai deciso di entrare in sala. Chiudi orecchi e occhi, non vuoi sapere nulla, niente di niente, risvegliarti dall’incubo a mille miglia di distanza. Senti invece le immagini scenderti nella carne, entrarti dentro. “Basta!”, sbotti dentro di te, e quasi lo dici ad alta voce. Vuoi accendere la luce, uscire dal tunnel, liberarti dagli spettri. Sì, è proprio un film adatto a tutti nonostante la censura, un film da far vedere a tutti.

Si intitola Unplanned ed è la cosa peggiore del mondo. Tratto dal libro omonimo del 2011, è la storia vera e nota di Abby Johnson, che oggi ha 39 anni. Quando ne aveva 29 ha visto un aborto monitorato agli ultrasuoni. Cercando il modo migliore per tradurre questa espressione dall’inglese, mi imbatto in una fantastica geremiade della NARAL Pro-Choice America, una delle costole storiche della lobby abortista statunitense: «Costringere una paziente a sottoporsi a una procedura medicalmente non necessaria non è etico ed è avvilente, ma questo è esattamente ciò che le leggi sull’ecografia obbligatoria impongono alle donne che chiedono interventi abortivi». L’originale, ipocrita, falso e infingardo, dice «abortion care», un ossimoro per «cura abortiva». Prosegue: «Per la maggior parte delle donne che cercano abortion care, l’ecografia non è necessaria dal punto di vista medico. Tuttavia, diversi Stati del Paese impongono ai medici di fare l’ecografia prima di eseguire un aborto. Alcuni di questi Stati costringono anche le donne a visualizzare gli ultrasuoni o ad ascoltare il battito cardiaco, anche se la donna vi si oppone con decisione». A parte la ricostruzione caricaturale della faccenda, il punto è che agli abortisti fa scandalo che una donna possa vedere e sentire il figlio che sta per sopprimere. Il NARAL lo dice apertamente: «Le leggi sull’obbligatorietà degli ultrasuoni non hanno giustificazione medica e sono pensate dai politici anti-choice solo per intimidire, far vergognare e molestare le donne che vogliono l’aborto». Qui la ricostruzione caricaturale si fa grottesca, ma il punto è detto con chiarezza (in mezzo c’è un passaggio ridicolo: «Vale la pena notare che, per ragioni di sicurezza, l’American College of Obstetricians and Gynecologists raccomanda che gli ultrasuoni vengano eseguiti solo per scopi medici da un operatore sanitario qualificato». Ragioni di sicurezza mentre si sta letteralmente disintegrando una vita umana?).

C’era una volta Bernard Nathanson (1926-2011), il medico che truccò le carte dell’aborto clandestino e che si vantava di essere stato responsabile di 75mila aborti. Poi venne l’ecografia e a Nathanson cadde la mascella. Si convertì (alla fine anche al cattolicesimo) e divenne un eroe pro-life con pochi eguali anche realizzando lo scioccante documentario L’urlo silenzioso, che un altro eroe, donna, convertita cattolica pure lei, Faith Whittlesay (1939-2018), regalò in videocassetta a ciascuno dei parlamentari americani.

Anche Abby Johnson è stata folgorata dagli ultrasuoni. Di aborti ne aveva avuti lei stessa, due. Aveva patito fisicamente le pene dell’inferno, ma non aveva mai visto cosa succede fisicamente a un bambino nel ventre di sua madre quando viene annientato per suzione. Un giorno, per caso, ma il caso non esiste, fu chiamata in sala operatoria. Svolgeva mansioni amministrative, aveva fatto carriera: da hostess on the road, di quelle che si prendono “cura” delle abortende per sottrarle ai pro lifer che cercano di dissuaderle, a dirigente di una clinica della Planned Parenthood. Ma un aborto in diretta non lo aveva ancora mai visto, benché alle turpitudini non fosse certo nuova. Fu allora che piantò tutto.

La sua conversione è stata la notizia peggiore che la Planned Parenthood abbia mai avuto. Perché ovviamente poi Abby Johnson non se n’è rimasta zitta. Ecco, Unplanned è il film della sua storia. Unplanned è la cosa più cruda che possiate vedere. La cosa più greve. E pure la più grave. Uno scannatoio ributtante. Ma ad Unplanned non si può sfuggire: perché racconta esattamente quanto accade tutti i giorni, da decenni, in migliaia di luoghi del mondo.

L’attrice Ashley Bratcher interpreta Abby alla perfezione ed Abby ha approvato la sceneggiatura. Diretto da Chuck Konzelman e Cary Solomon, il film è costato 6 milioni dollari alla Pure Flix e le sue riprese si sono svolte in segreto. Quando lo vedrete, capirete perché. Unplanned ha un vantaggio enorme. È fatto benissimo, roba da grandi major. Nei 110 “interminabili” minuti della sua cavalcata sciorina scene da fare accapponare la pelle per lo sdegno e per la compassione.

Venerdì 29 marzo [2019] è uscito in 1059 sale americane e ha incassato 3 milioni di dollari. Nei due giorni seguenti è salito a 6,4 milioni, più di quello che è costato, piazzandosi al quarto posto delle vendite del week end nel momento del trionfo di Dumbo. La Motion Picture Association of America, quella che dà le patenti ai film, lo ha marchiato “R”: con meno di 17 anni va visto solo se accompagnati. Però gli aborti si possono anche se più giovani. Quindi, mentre Unplanned sbancava, Twitter ne sospendeva l’account. Per un errore, dicono. Poi l’hanno riconnesso: ovvio, s’è sollevato mezzo mondo, e tra i fan della pellicola ci sono anche Donald J. Trump e il suo vice Mike Pence.

L’ho visto in anteprima privata in margine al Congresso mondiale delle famiglie. Arriverà anche in Italia. Andremo tutti a vederlo, e soffriremo, piangeremo, urleremo, picchieremo i pugni, ma sarà fondamentale farlo vedere a chi l’aborto lo predica e lo pratica. Perché Unplanned cambia davvero la vita. Si raccolgono idee su come convincere gli abortisti a vedere questo piccolo, grande capolavoro che amiamo e odiamo allo stesso tempo.



Unplanned

Tags: AbortoUnplannedVetrina
Marco Respinti

Marco Respinti

Marco Respinti è stato il direttore di International Family News fino alla fine del 2022.Italiano, è giornalista professionista, membro dell’International Federation of Journalists (IFJ), saggista, traduttore e conferenziere. Ha collaborato e collabora con diversi quotidiani e periodici, sia in versione cartacea sia online, in Italia e all’estero. Autore di libri, ha tradotto e/o curato opere di, fra gli altri, Edmund Burke, Charles Dickens, T.S. Eliot, Russell Kirk, J.R.R. Tolkien, Régine Pernoud e Gustave Thibon. Senior Fellow al Russell Kirk Center for Cultural Renewal (Mecosta, Michigan), è anche socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo del Center for European Renewal (L’Aia, Paesi Bassi). Membro del Comitato editoriale del periodico The European Conservative e del Consiglio Consultivo della European Federation for Freedom of Belief, è direttore responsabile del periodico accademico The Journal of CESNUR e, sul web, di Bitter Winter: A Magazine on Religious Liberty and Human Rights.

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