San Giuseppe, padre putativo di Gesù, è festeggiato in ben due date del calendario: il 19 marzo, considerato ormai ovunque la Festa del papà, e il 1° maggio, ricorrenza di san Giuseppe Lavoratore.
Si celebrano in questo modo due caratteristiche emblematiche dello sposo di Maria, madre del Cristo. La prima è la paternità generosa che accoglie e protegge la donna e i suoi figli, l’altra è l’abnegazione al lavoro, spesso duro e silenzioso, che li nutre e li scalda.
Sono le caratteristiche dei padri, quelle che essi dovrebbero avere e spesso hanno e dimostrano, fondamenta insieme e architrave di quell’edificio semplice e complesso che è la famiglia, la famiglia naturale.
La devozione popolare nei confronti di san Giuseppe padre di Gesù ha tramandato due usanze in particolare: la prima, viva al Sud della Penisola, in particolare in Sicilia, in Puglia e nel Molise, è quella delle «tavole di san Giuseppe», allestite nelle case la sera del 18 marzo e imbandite con cibi e bevande di ogni genere, per assolvere un voto oppure impetrare una grazia. In Val Trebbia, invece, al confine fra Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna, a san Giuseppe si consuma il rito del falò, simbolo del passaggio dall’inverno alla primavera, retaggio di antiche celebrazioni legate al risveglio della natura dopo il riposo nei mesi freddi.
Come sempre in Italia, a san Giuseppe si mangia, in particolare si frigge, e i dolci tipici della ricorrenza sono le frittelle, cosparse di zucchero a velo, guarnite di crema e di una ciliegia candita, quelle che a Napoli hanno preso il nome di «zeppole» e che occhieggiano in questi giorni nelle vetrine delle pasticcerie.
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