Chi, soprattutto in Italia, non conosce e apprezza il pomodoro? Intolleranze alimentari a parte, certamente nessuno. Eppure, come si sa, la sua origine non è italiana e neppure mediterranea.
Il pomodoro, Solanum lycopersicum L. 1753, in base alla classificazione dello scienziato svedese Carl Nilsson Linnaeus, Carlo Linneo (1707-1778), giunse infatti in Europa dalle Americhe, proprio come, per esempio, la patata, il mais, il peperone, il preziosissimo cacao. Lo conoscevano bene e lo usavano le popolazioni indigene e gli Atzechi lo chiamavano xitomatl, da cui tomate in spagnolo e successivamente tomato in lingua inglese.
Per quanto riguarda il nome italiano, invece, esso è da attribuire al botanico senese Pietro Andrea Mattioli (1501-1578) che per primo documentò la presenza dell’ortaggio in Italia, definendolo nel suo Herbarius «pomo d’oro» per il colore giallo oro che assume prima dell’ultima fase di maturazione.
Ritornando alle origini americane del pomodoro, fu il condottiero spagnolo Hernán Cortés (1485-1547) a recare con sé alcune piantine alcune piantine, al rientro in patria , nel 1540, dopo la conquista del Messico. La coltivazione del pomodoro si diffuse però solo nella seconda metà del XVII secolo, poiché in principio le sue bacche vennero considerate velenose e la pianta usata solo a scopo ornamentale.
In Italia giunse dapprima in Sicilia, importata dalla Spagna, e successivamente in tutta la Penisola, a esclusione delle sole Regioni montane del Nord, e oggi le coltivazioni di pomodoro, molto diffuse al Sud con specialità pregiate, costituiscono anche una voce di forza dell’economia della Pianura Padana, grazie anche allo sviluppo di un’importante industria conserviera, a partire da fine Ottocento.
Già, ma quando nasce la conserva di pomodoro? Salse e sughi a base di questo ortaggio insieme umile e prezioso sono attestate, specie nella cucina del Sud Italia e quella napoletana in particolare, a partire dalla fine del 1600 e il cuoco Antonio Latini (1642-1696), ne Lo scalco alla moderna del 1692, descrive una ricetta di «salsa di pomodoro alla spagnuola» diffusa appunto a Napoli.
La coltivazione a scopo alimentare del pomodoro, però, si consolidò soltanto alla fine del Settecento e nel 1762 Lazzaro Spallanzani (1729-1799), presbitero e biologo, definì le tecniche di conservazione della conserva di pomodoro dopo aver notato che il sugo, fatto bollire e versato in contenitori chiusi, non si alterava. La durata della salsa così preparata, però, era ancora piuttosto breve. Più tardi però, nel 1809, il parigino Nicolas Appert (1749-1841), cuoco e inventore, pubblicò l’opera L’art de conserver les substances alimentaires d’origine animale et végétale pour pleusieurs années, dove fra gli altri alimenti era citato anche il pomodoro. Il francese aveva intuito che il riscaldamento in acqua bollente di un vaso di vetro a chiusura ermetica poteva prolungare di molto la conservazione dei vegetali e nel 1795 aveva realizzato le prime vere conserve sottovetro.
La conserva di pomodoro, o «passata» che dir si voglia, comunque, è stata il cavallo di battaglia di tante massaie fino almeno agli anni 1960. Nelle aie in campagna, nei cortili in città, la fine dell’estate rappresentava il momento magico, anche se faticoso, in cui tutta la famiglia contribuiva a cuocere nei pentoloni grandi quantità di pomodori dell’orto, spelarli e privarli dei semi passandoli nell’attrezzo apposito, assolutamente manuale. Anche i bambini intervenivano, per porre la classica fogliolina di basilico nei vasi, prima che fossero chiusi definitivamente per riposare poi nelle cantine per il tempo necessario. I vasetti così preparati si aprivano poi durante tutto l’inverno, una promessa di sole e di luce in attesa della bella stagione dell’anno successivo.
Ancora oggi qualcuno la prepara a casa, magari non grandi quantità, nonostante l’ampia scelta di prodotti anche ottimi presente sul mercato, rinnovando così una bella tradizione domestica e familiare. Un’idea per la prossima domenica.
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