La legge, adottata dal Parlamento ungherese nel giugno del 2021, «vieta o limita l’accesso a contenuti che propagano o ritraggono la cosiddetta divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita, al cambiamento di sesso o all’omosessualità per i minori di 18 anni». Ursula von der Leyen aveva definito la legge «una vergogna» perché secondo la Commissione europea viola i valori europei e i diritti fondamentali degli individui, in particolare le persone Lgbtiq+. Per questo motivo l’esecutivo Ue aveva subito avviato una procedura d’infrazione già nel luglio del 2021 e un anno dopo, in assenza di passi indietro da parte di Viktor Orban, aveva deciso di far scattare il deferimento alla Corte di Giustizia Ue.
I governi avevano tempo fino al 7 Aprile per aderire alla causa e quindici hanno deciso di affiancarsi alla Commissione, il che consentirà loro di presentare formalmente degli argomenti di accusa. Tra i banchi dell’accusa, invece, non siederà il governo italiano, che nelle ultime settimane è stato condannato ufficialmente dal Parlamento europeo per la decisione di non registrare più i figli delle coppie omogenitoriali e per «gli attacchi contro la comunità Lgbtiq+».
I Media hanno ampiamente riportato la notizia che quindici paesi dell’Unione hanno fatto ricorso contro una recente legge promulgata in Ungheria che viene definita contraria ai diritti delle minoranze LGBT: Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo, Danimarca, Irlanda, Malta, Austria, Finlandia, Svezia, Slovenia e Grecia. L’Italia non c’è, seguita da Polonia, Romania, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovacchia.