Last updated on Ottobre 14th, 2021 at 01:03 pm
«Le cure palliative sono la possibile risposta concreta alla tentazione dell’eutanasia e del suicidio assistito, in quanto cercano, pur senza la pretesa di riuscirci sempre nella totalità, di rispondere ai veri bisogni dei malati, dal sollievo dalla sofferenza alla compagnia nel difficile percorso del fine vita». A parlare così è il dott. Marcello Ricciuti, medico anestetista 61enne, da quindici anni direttore dell’U.O.C Hospice e Cure palliative dell’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza, nonché presidente del Movimento per la Vita di Potenza. Nei giorni in cui in Italia è stata sforata quota 1 milione di firme per il referendum a favore dell’eutanasia, «iFamNews» raccoglie il suo appello.
Dott. Ricciuti, che idea si è fatto del dibattito sull’eutanasia suscitato dalla raccolta firme?
Dal mio punto di vista, di medico da molti anni impegnato nel campo delle cure palliative e della lotta al dolore, avendo seguito migliaia di pazienti, tutti affetti da patologie gravi e irreversibili, è evidente che questa campagna referendaria, epilogo di tutto quanto l’ha preceduta, è semplicemente quanto di più distante ci sia dalla realtà, dai bisogni e dalle necessità di pazienti e famiglie che ogni giorno lottano per la vita, per la sopravvivenza, anche in condizioni molto difficili, non a qualunque costo, ma cercando la migliore qualità possibile, attendendo dalla medicina, dalla società e dallo Stato tutto l’aiuto e il sostegno possibile per andare avanti con dignità.
Ritiene che le cure palliative possano rappresentare un argine all’eutanasia?
A mio avviso le cure palliative sono la risposta, l’unica vera risposta ai bisogni di malati e famiglie che si trovano a vivere percorsi difficili, talora drammatici della vita e del suo percorso finale. Le cure palliative sono nate per assicurare a tutti i malati affetti da malattie inguaribili la possibilità di ricevere cure adeguate, finalizzate a controllare il dolore e tutti gli altri sintomi delle malattie stesse, a essere sostenuti a livello psicologico, sociale e spirituale, insieme alle famiglie, sia a domicilio, con equipe specializzate e dedicate, sia negli Hospice, luoghi di cura organizzati per dare un’accoglienza basata su competenza e compassione. È ben noto che la paura, l’ansia, la depressione, la solitudine, il timore di essere di peso e la sofferenza fisica siano quasi sempre i fattori che spingono la tentazione di andarsene prima con il suicidio o l’eutanasia. Ora le cure palliative, pur con i limiti di ogni esperienza umana, rappresentano una risposta a ognuno di questi elementi determinanti, grazie a una presa in carico globale di tutte le persone coinvolte in queste dolorose esperienze.
Alla luce della sua esperienza, tra i malati terminali è diffusa la richiesta della cosiddetta “dolce morte”?
Dirigo un Hospice pubblico all’interno di una grande Azienda ospedaliera dell’Italia meridionale da oltre 15 anni e, sinceramente, posso dire che in migliaia di pazienti seguiti non ho mai ricevuto domande vere e proprie di eutanasia, se non in due casi, uno molto recente.
E cos’è successo in questi due casi?
L’offerta delle cure palliative in uno e di un ricovero in Hospice nell’altro hanno fatto decadere l’intenzione di suicidio assistito. Pensi che uno dei due pazienti aveva già le valigie pronte per recarsi in una clinica in Svizzera dove si pratica il suicidio assistito.
È stata un’opera di convincimento difficile?
Naturalmente c’è stato bisogno di un impegno relazionale molto intenso e non senza conflittualità, ma in piena libertà. Impegno che alla fine ha condotto le persone in questione ad una morte naturale senza dolore, in sedazione negli ultimi giorni, resasi necessaria per controllare al meglio i sintomi (e che, ricordiamo, non ha nulla a che vedere con l’eutanasia), in compagnia dei propri cari. Ovviamente ciò non vuol dire che non si sia vissuto, da parte di tutti, il dramma della vita che si spegne. Le cure palliative possono assicurare davvero una “morte dolce”, non anticipata, ma accompagnata, con scrupolo, con solidarietà, con compassione e con competenza.
La Legge 38/2010 che regola le cure palliative è stata adeguatamente finanziata e applicata?
È stata una tappa importante per incentivare lo sviluppo delle cure palliative in Italia. Purtroppo però questa diffusione non è ancora omogenea, le risorse impegnate non sono ancora sufficienti in molte aree del Paese. Di conseguenza ancora tanti pazienti e tante famiglie non riescono ad usufruire di queste “buone cure”. Sono certo che assicurare cure palliative ai malati inguaribili, e a tutte quelle altre persone che vivono le più gravi disabilità collegate a malattie inguaribili ma con prognosi più lunghe, come nelle malattie neurodegenerative e nelle malattie rare, comprese quelle in età pediatrica, non solo neutralizzerebbe la tentazione dell’eutanasia, ma rappresenterebbe una vera svolta di civiltà per il nostro Paese e una risposta alle vere domande della stragrande maggioranza delle famiglie che vivono queste drammatiche esperienze.
Vuole rivolgere un appello al parlamento?
Cari parlamentari, fate bene a discutere del fine vita, ma fatelo a partire da una indagine approfondita sui bisogni reali dei cittadini che vivono l’esperienza delle malattie inguaribili. Chiedete a chi si occupa di loro, negli ospedali, negli Hospice, nei tanti istituti dedicati alla cura di malattie degenerative e rare. Pensate alle migliaia e migliaia di situazioni che richiedono investimenti, risorse, personale, luoghi di cura adatti, competenze dedicate, che chiedono buone cure, sostegno anche economico, attenzione, supporti sociali. Fate in modo che le cure palliative siano diffuse in tutto il Paese e siano realmente a disposizione di tutti, dimostrate di tenerci davvero alla vita delle persone.
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