Last updated on marzo 29th, 2021 at 05:41 am
Non si è fatto ancora in tempo a dimenticare lo spettro del «Colpirne uno per educarne cento» che la Corte costituzionale, in nome del popolo italiano, ha cominciato a stroncare quella malsana, antica idea che è dare il cognome del padre ai figli. Menomale che il supremo tribunale italiano non ha giurisdizione né su quella barbarie anglosassone che con il cognome paterno declinato al plurale abbraccia tutti e ciascuno dei suoi membri (a casa mia saremmo The Respintis), né su quell’inciviltà slava che declina al femminile il cognome del marito ‒ Ivanov ‒ assunto dalla moglie ‒ Ivanova ‒, con il polacco che a inciviltà aggiunge rozzezza distinguendo se il femminile del cognome del marito (Nowak) è della moglie ‒ Nowakowa ‒ o della figlia ‒ Nowakowna ‒ (ma quest’arretratezza sta fortunatamente cadendo in disuso).
Ragionandosi addosso quanto alla legittimità dell’articolo 262, primo comma, del Codice civile, da essa posto in dubbio a se stessa il 14 gennaio, nella giornata di venerdì il supremo tribunale ha infatti depositato l’ordinanza n.18 relativa al patronimico.
Come abbiamo segnalato a fine gennaio, il Tribunale ritiene infatti «[…] che l’acquisizione del cognome alla nascita avvenga unicamente sulla base di una discriminazione fondata sul sesso dei genitori», configurando un sistema che «[…] deriva da una concezione patriarcale della famiglia e della potestà maritale, che non è più compatibile con il principio costituzionale della parità tra uomo e donna», giacché fonte di «squilibrio» e di «disparità tra i genitori», in un quadro in cui, come la Corte costituzionale dice già con la sentenza n. 286 del 2016, l’«inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto all’identità del minore». Roba, insomma, da incatenarsi al «Palazzaccio». Spetta quindi al parlamento intervenire per cauterizzare il vulnus, epperò il parlamento nicchia. La Corte costituzionale si porta allora avanti domandando alla Corte costituzionale se la Corte costituzionale abbia ragione e la Corte costituzionale risponde alla Corte costituzionale che la Corte costituzionale ha ragione. Ora, mentre la Corte costituzionale concorda con la Corte costituzionale, il parlamento continua però a tacere. Ma la situazione resta grave («discriminazione fondata sul sesso dei genitori», «non è più compatibile con il principio costituzionale della parità tra uomo e donna», «squilibrio», «disparità», «sacrifica il diritto all’identità del minore»). Arriveranno allora i nostri a cavallo di un caval e finalmente sgretoleranno le mura di Gerico bypassando il parlamento, secondo un copione visto le mille volte.
Per rendere la famiglia sempre più trasparente e fluida, l’eroe con gli occhi azzurri dritto sopra la nave non distingue fra grandi pugne e pugn…, pugne piccole.
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