Last updated on aprile 6th, 2021 at 05:27 am
Dopo una lunga battaglia iniziata a dicembre, ieri la Giunta regionale della Regione Marche ha dato un segnale importante all’Italia intera in tema di difesa della donna e della salute, respingendo la mozione che avrebbe volto applicare le nuove linee guida emanate in agosto, con un tweet, dal ministro della Salute, Roberto Speranza, di Liberi e Uguali, per consentire la somministrazione della pillola RU486 anche nei consultori, ma in palese contrasto con quanto stabilisce quella che rimane la norma di riferimento in materia, ovvero la Legge 194/78 che legalizzò l’aborto del nostro Paese.
A presentare una mozione che pretendeva di obbligare la Regione ad attuare la direttiva era stato il consigliere Manuela Bora, del Partito Democratico, ma il voto di ieri palesa una verità finora sottaciuta, grave e quindi importantissima: le linee guida del ministro Speranza non sono affatto vincolanti e, come prevede la Legge 194 (del resto, non lo si ripeterà mai abbastanza, mai completamente attuata a casa di croniche carenze strutturali, organizzative ed economiche mai risolte), le procedure per indurre l’aborto dei piccoli cittadini italiani non ancora nati, anche per via chimica, sono da espletare in sede ospedaliera. Dunque non applicare queste indicazioni significa anzitutto non osservare la legge italiana che, come tutte le leggi dello Stato italiano, deve, o dovrebbe, esistere per tutelare, non per danneggiare, i cittadini italiani, compresi, e perché mai no?, quelli piccoli e piccolissimi, addirittura non ancora nati. In secondo luogo significa non offrire tutele reali per la salute delle donne, negando loro, una volta in più, la possibilità di una scelta consapevole, e tale perché possa contare su garanzie di supporto socio-economico e psicologico che le istituzioni dovrebbero assicurare per prime per poi lasciare, secondo il principio di sussidiarietà, libertà di azione alle realtà associative che da decenni operano sul campo.
L’intento di alleggerire il processo decisionale e attuativo attraverso la gestione farmacologica dell’aborto è infatti solo lo sbandieramento di una idea fittizia di autodeterminazione, che in realtà non elimina le conseguenze negative della soppressione di una vita ancora nel grembo materno. Perché l’aborto chimico è terribile come l’aborto chirurgico, ma in più (se possibile) si configura come una pratica particolarmente drammatica: uccide il figlio come ogni aborto in qualunque modalità, espone le donne a danni psicofisici forti come ogni aborto in qualunque modalità, ma in specifico rende le madri protagoniste uniche, e sole, di una procedura tragica le cui conseguenze mentali possono segnarle per tutta la vita.
In un momento in cui il nostro Paese sta soffrendo un inverno demografico senza precedenti, rinunciare aprioristicamente a tutelare la vita nascente è quanto di più insensato si possa pensare di fare.
La Giunta regionale marchigiana, guidata da Francesco Acquaroli, di Fratelli d’Italia (FdI), sta valorizzando la difesa del valore della vita umana anzitutto per buon senso. Il cambio di rotta della Regione, intervenuto dopo le elezioni di settembre e, sul fronte vita, reso possibile anche grazie all’ottimo lavoro svolto dai consiglieri regionali Elena Leonardi (FdI), Chiara Biondi (Lega) e Mirko Bilò (Lega), nonché dall’assessore alla Cultura, all’Istruzione e alle Pari Opportunità Giorgia Latini (Lega) – peraltro recentemente minacciata proprio perché pro life –, dà modo alle organizzazioni, come anche Steadfast che ho l’onore di presiedere, di operare in maniera più incisiva nella difesa dei diritti umani e della vita. La decisione della Regione Marche ricorda ad alta voce come le linee guida agostane volute con il famoso tweet da un ministro per di più ora decaduto dalla carica siano arbitrarie, non obbligatorie e in contrasto con la legge vigente sull’aborto. Ora è importante che questo segnale decisivo giunga anche là dove si sta formando il nuovo governo italiano, che sceglierà pure il nuovo ministro della Salute.
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