Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:06 pm
Non tutto il distanziamento viene per nuocere. Si potrebbe, non senza azzardo, commentare così i dati di una ricerca sulla religiosità pubblicata da The Times pochi giorni fa. È vero: i numeri registrati attraverso il sondaggio YouGov confermano la generale disaffezione alla fede e a qualsiasi sentimento religioso, ma mostrano anche timidi segnali in controtendenza. Per di più tra i giovani: nella cosiddetta «generazione Z», solitamente circoscritta ai nati fra il 1997 e il 2010, cita la fede come elemento importante della propria vita il 23% degli intervistati. Un aumento di due punti percentuale rispetto al 21% del mese di gennaio 2020. Poco? Certo, ma abbastanza da fare notizia, considerando anche il calo di tutte le altre fasce di età.
Numeri impietosi
Tra gli over 60 chi afferma di credere in Dio è il 36% degli intervistati, tra i 40 e i 59 anni il dato scende al 26%, e tra i 25 e i 39 anni la percentuale cala al 19. Dunque un 23% nella fascia 16-24 anni è un risultato tutt’altro che prevedibile.
La crescita è avvenuta proprio nei mesi della pandemia, quando la vita sociale si è ridotta in modo significativo, in modo particolare per i più giovani. Una nuova tendenza? «Difficile rispondere con un singolo sondaggio», ha detto a The Times Linda Woodhead, docente di Religione e società nell’Università di Lancaster, «ma so dai miei studenti che Internet ha reso più facile cercare e trovare persone come loro».
Tra i giovani e la fede spesso c’è un ostacolo arduo da superare: lo stigma sociale. Le prese in giro, l’emarginazione, la discriminazione, tutti fattori che già pesano, e non poco, sulla vita scolastica di un adolescente. Eppure, proprio durante il lockdown, sembra che molti giovani inglesi abbiano scelto di fare ricerche sul web legate alla fede, alla religiosità, alle domande di senso. Hanno trovato articoli da leggere sulle versioni online dei giornali e persone sui social con le quali confrontarsi. Il silenzio e la solitudine di questi mesi hanno spinto i giovani verso gli interrogativi profondi, quelli che la vita quotidiana caotica tende a nascondere sotto gli impegni.
In Italia ascolti record per il Papa
E non è avvenuto solo in Inghilterra. In Italia, durante la Fase 1, c’è stato sì un boom di abbonamenti a piattaforme che offrivano film e serie televisive, ma il vero sold out l’ha fatto il Pontefice, quando, venerdì 27 marzo, ha pregato in una piazza San Pietro deserta sotto la pioggia battente. In quel momento, solo in Italia, 17 milioni e 400 mila spettatori hanno vissuto l’inedita benedizione Urbi et Orbi dalle proprie case. Un record assoluto, che ha battuto l’evento televisivo dell’anno, il Festival di Sanremo, e la serie televisiva più seguita, Il commissario Montalbano.
Lo stesso è avvenuto con la Messa da Casa Santa Marta del Papa, trasmessa per l’occasione da Rai 1 ogni mattina, con il Rosario per l’Italia (che continua ancora, ogni mercoledì, alle 21) prodotto e trasmesso da Tv2000, e con tutte le emittenti che hanno dato spazio, nei propri palinsesti, a celebrazioni, preghiere e riflessioni su ciò che stava avvenendo.
Bisogno di comunità
Era e continua a essere forte, con il risalire dei contagi e le nuove misure restrittive, il bisogno di ricostruire un senso di comunità, seppur virtuale. Essere tutti insieme davanti alla tivù, seppur ciascuno nella propria casa, con le stesse domande, paure, incertezze. Persino la maratona Harry Potter, proposta da Italia 1 nella Fase 1, ha sfiorato i cinque milioni di telespettatori a serata, nonostante la programmazione annuale si ripeta ormai da dieci anni. Le domande di senso si fanno più pressanti nella solitudine dell’isolamento. E per una volta sembra che Internet sia riuscito a proporre risposte degne di nota. In attesa di tornare a confrontarsi dal vivo, in presenza, un piccolo segnale di speranza.
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