Una commissione del parlamento irlandese ha proposto il riconoscimento della maternità surrogata commerciale, una pratica vietata in tutta l’Europa con l’eccezione di Russia, Ucraina e Bielorussia.
In alcuni Paesi, inclusa l’Italia, si discute di come punire chi ricorra al cosiddetto «utero in affitto» recandosi all’estero per la compera. Invece l’Irlanda, ormai persa in una deriva iperpermissivistica, si muove nella direzione opposta, una direzione che potrebbe addirittura farla diventare la nuova destinazione del turismo procreativo, ora che la guerra ha travolto proprio le mete tradizionali.
In febbraio il ministero della Sanità irlandese ha presentato un progetto di legge per regolare le diverse forme di fecondazione assistita, tra le quali appunto la «maternità surrogata». Non rientrava però tra gli intenti del governo affrontare la questione del riconoscimento delle nascite da madri surrogate fuori dal territorio nazionale. E però, dopo una campagna mediatica che ha visto protagonisti anche personaggi dello spettacolo che avevano fatto essi stessi ricorso a madri surrogate all’estero, il parlamento ha deciso di istituire una commissione ad hoc che, proprio nei giorni scorsi, ha presentato le proprie conclusioni sconcertanti.
Il progetto di legge del governo autorizza solo la «maternità surrogata» cosiddetta «altruistica», ma, allo stesso tempo, permette il rimborso di «spese ragionevoli» sostenute dalla «madre surrogata». Non solo, cioè, le spese mediche in senso stretto, ma anche qualsiasi perdita di reddito per un periodo di dodici mesi, che per molte donne rappresenterebbe una cifra sostanziale.
Uno degli esperti chiamati a testimoniare ha infatti detto alla Commissione che, «in base al progetto di legge, è possibile pagare una madre surrogata irlandese per spese ragionevoli. Una volta calcolati la perdita di reddito e altre spese, la cifra può facilmente arrivare a 10mila euro, cifra probabilmente non molto differente da quanto le madri surrogate vengono pagate in altri Paesi, con l’eccezione degli Stati Uniti». In Ucraina, dove solitamente vanno le coppie che cercano una «surrogata», il reddito pro capite medio è di 2mila e 500 euro l’anno.
Insomma, pur vietando in teoria la surrogata commerciale, in pratica la proposta del governo permette un certo margine di guadagno, tramite i rimborsi spese, che per molte donne più povere rappresenterebbe un vero e proprio lavoro.
Il rapporto della Commissione sottolinea pure l’ipocrisia del chiamare «altruistica» una pratica che implica pagamenti consistenti e chiede pertanto la modifica del progetto di legge. Ma lo stesso rapporto si spinge oltre e raccomanda il pagamento di alcuni servizi effettuati all’estero che la proposta del governo vieterebbe, in quanto di natura esplicitamente commerciale. Per esempio si vieta il pagamento di agenzie o cliniche che organizzano o danno effetto ad un contratto tra i committenti e la «madre surrogata».
Durante i lavori della Commissione, solo uno dei partecipanti aveva denunciato i rischi della «surrogata commerciale», che trasforma il bimbo in merce e la donna in incubatrice. Tutti gli altri, spinti da una campagna di stampa molto efficace, si sono dimostrati disponibili a soddisfare qualsiasi richiesta proveniente da coppie o single facenti ricorso a una «surrogata».
Alcuni funzionari statali che avevano contribuito a preparare il disegno di legge del governo, durante le audizioni della Commissione sulla «maternità surrogata» internazionale avevano richiamo l’impossibilità di utilizzare un doppio standard, permettendo il riconoscimento di una pratica vietata in patria solo perché essa è possibile all’estero. Se è sbagliato affittare un utero in Irlanda, perché dovrebbe essere accettabile all’estero?
Ma la Commissione afferma che, mentre sarebbe desiderabile che le condizioni contemplate nei contratti sottoscritti all’estero corrispondano alle condizioni richieste all’interno dello Stato irlandese, questo principio è quasi impossibile da far rispettare, e pertanto la Commissione crede che «sia sufficiente che le condizioni mediche e sanitarie stabilite dallo stato della surrogata siano soddisfatte».
Vale cioè appunto il doppio standard e vale la morale doppia: un po’ più severi in patria, ma chiudendo un occhio su quanto avviene all’estero. E questo ovviamente incrementerà il turismo procreativo.
L’Irlanda, se passasse la proposta della Commissione, diventerebbe l’unico Stato al mondo a dare riconoscimento legale a contratti stranieri di «utero in affitto». Ora, esisterebbe una salvaguardia: il bimbo deve avere per esempio un legame genetico con almeno uno dei genitori committenti. Ma un altro passaggio sconcertante del rapporto è il fatto che la Commissione ritenga tale requisito, previsto dal progetto di legge del governo, non necessario se e quando la «maternità surrogata» avviene in Irlanda. Significa che un uomo celibe potrebbe pagare una donna per mettere al mondo un bambino che venga concepito utilizzando i gameti di due donatori, i quali verranno anche loro rimborsati. Quale sarebbe la differenza tra questa pratica e il comprare bambini?
Il bimbo crescerebbe senza avere alcuna relazione con la madre genetica, con il padre genetico, con l’altra madre che l’ha custodito per nove mesi e poi partorito, e con i fratelli e le sorelle genetici, se esistono. Giuridicamente sarà insomma legato solo all’estraneo che l’ha commissionato, pagando i diversi attori di questa tragedia. Pare incredibile come un Paese un tempo cattolico, come l’Irlanda, abbia perso del tutto il senso del legame materno e si appresti ad approvare una pratica aberrante che il resto d’Europa rigetta e condanna.
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