Diavoli di quei francesi! Furono loro, negli anni 1930, sperimentando nuovi sistemi per la conservazione del vino, a scoprire quasi per caso una tecnica di vinificazione nuova, la macerazione carbonica, che si rivelò straordinariamente adatta per la produzione di quello che fu chiamato vin noveau. Si tratta di un vino molto particolare, frutto della vendemmia dell’anno, che dopo un periodo di fermentazione breve, appunto con la tecnica della macerazione carbonica, è immesso sul mercato a partire dal terzo giovedì di novembre.
Prodotto esclusivamente da uve Gamay noir, il vin noveau si presenta di colore rosso rubino, o porpora, con riflessi violacei. Al naso è fruttato, vinoso, ricorda i sentori di marasca, lampone, ribes e talvolta sottobosco. In bocca è secco, abbastanza morbido, leggermente tannico, con discreto corpo, notevole intensità e poca persistenza. Famoso soprattutto quello della AOC (l’equivalente della DOC italiana) del Beaujolais, acquisì notorietà e diffusione in Francia a partire dagli anni 1950.
Non vino nuovo, bensì vino novello fu chiamato in Italia, dove iniziò a essere prodotto e proposto sul mercato negli anni 1970, a partire dal Piemonte, dalla Toscana, dalla Valtellina, per poi diffondersi pressoché in tutte le zone enologiche della Penisola.
Diversamente dal cugino francese, il vino novello può essere prodotto utilizzando una grande varietà di vitigni a bacca rossa ed è posto in commercio a partire dalla mezzanotte del 30 ottobre (una volta, dal 6 novembre) dell’anno della vendemmia.
Come si sarà capito, non è un vino pregiato, destinato all’invecchiamento, bensì una primizia di stagione, che nella stagione nasce e si consuma, ben corroborato da campagne di marketing che ne hanno poi fatto un must del periodo autunnale. È un bicchiere che sa di clima appena freddo e umidità, di foglie secche e di abat jour acceso, di camino (per i fortunati che ne abbiano uno a disposizione) e di quiete domestica. Ha il profumo di una tradizione “confortante”.
Chi scrive ha il vivo ricordo d’infanzia di una bottiglia acquistata ogni anno dal papà, da abbinare in una merenda “robusta” al salame e alle castagne per i bambini. Che poi, sul fornello di una cucina milanese degli anni 1980, non sapevano di fumo e di bosco, ma erano buone ugualmente. Per la mamma, senza badare alla correttezza dell’abbinamento con il vino, c’era un vassoietto, piccolo!, di marron glacé.
Commenti su questo articolo