Verdi di rabbia

Recovery Plan, Europa, ecologia e colonialismo

Mano che regge il pianeta Terra

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Last updated on Maggio 25th, 2021 at 03:05 am

Il Recovery Plan progettato dal premier Mario Draghi, nome smart per il più ufficiale Piano per la ripresa e la resilienza, ha ricevuto il nulla osta da Bruxelles e può dunque considerarsi in via di implementazione. La notizia è emersa dal Consiglio dei ministri che si è tenuto sabato 24 aprile in serata.

Come recita il comunicato stampa diffuso ieri, domenica, «l’Italia è la prima beneficiaria, in valore assoluto, dei due principali strumenti del programma Next Generation EU (NGEU), predisposto dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica e che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale, migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale».

Diversamente da quanto ipotizzato in precedenza, per il quinquennio 2021-2026 non saranno quasi 70 i miliardi di euro destinati agli investimenti utili alla missione 2, quella cioè che riguarda la cosiddetta rivoluzione verde e la transizione ecologica, bensì “solo” 57,5. Una cifra importante, comunque, suddivisa fra agricoltura sostenibile ed economia circolare, transizione energetica e mobilità sostenibile, efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, tutela del territorio e della risorsa idrica. Pari al 31% del totale delle risorse disponibili, un numero che lascia perplessi, in un infausto anno 2021 funestato così come il 2020 dalla pandemia, se confrontato con l’8,2% destinato alla salute e alla sua tutela. Che sarebbe poi il motivo per cui all’Italia spetterebbero dei denari.

Ma tant’è. In ogni caso, lungi dalle intenzioni di chi scrive minimizzare portata e importanza della salvaguardia del pianeta, a partire dal più piccolo contesto comunale per giungere sino all’Europa e al mondo intero, ma è impossibile non rilevare come l’appello al Green Deal invocato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen abbia trovato una sponda particolarmente attenta e favorevole nel Belpaese.

Il riferimento è al “Patto verde”, insieme di iniziative politiche promosse dalla Commissione per giungere entro il 2050 alla neutralità climatica, vale a dire a dire l’impatto climatico zero: niente emissioni di gas a effetto serra, «crescita economica dissociata dall’uso delle risorse» e «nessuna persona e nessun luogo […] trascurato», allo scopo di contenere l’innalzamento della temperatura entro 1,5 o al massimo 2 gradi centigradi come auspicato dall’Accordo di Parigi del 2015, scongiurando il raggiungimento di un aumento di 3°C nel corso di questo secolo.

L’ambizioso progetto si lega ad alcuni dei 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile di Agenda 2030 e infatti la von der Leyen, in vista dell’evento online Investing in climate action, che ha visto riuniti virtualmente il 24 marzo scorso i «leader mondiali con l’obiettivo di condividere i loro piani per attuare le politiche interne necessarie e per garantire il coordinamento internazionale», ha affermato che «[…] noi dell’Unione Europea abbiamo preso la decisione comune di ridurre entro il 2030 le nostre emissioni di gas serra (GHG) di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990.». L’incontro inoltre aveva lo scopo di «aiutare gli investitori e i leader aziendali a migliorare la loro comprensione dell’ambiente politico in cui opereranno almeno per il prossimo decennio».

Intanto la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) diviene banca per il clima e stanzia finanziamenti stratosferici.

Ma, continuava in marzo Ursula von der Leyen, «[…] i finanziamenti da soli non ci porteranno dove dobbiamo andare. Abbiamo anche bisogno di un piano d’azione, motivo per cui nel dicembre 2019 la Commissione Europea ha introdotto il Green Deal Europeo. Come nuova strategia di crescita europea, esso mira a trasformare l’UE in una società più equa e prospera, guidando la transizione verso una economia più competitiva e più efficiente sotto il profilo delle risorse. Sostanzialmente, l’obiettivo è raggiungere emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050».

Possibile fermarsi alla sola Europa? No, se come afferma la presidente della Commissione essa sarebbe responsabile solo del 10% delle emissioni globali, in linea con quanto riguarda l’inquinamento in generale e la percentuale di “debito ecologico” che i Paesi più sviluppati avrebbero nei confronti di quelli più poveri, Africa in primis. E il condizionale è d’obbligo.

Via libera allora a un Global Green Deal, che esporti altrove la visione di un’Europa «pronta a investire in qualsiasi cosa, da programmi di elettrificazione verde in Africa e progetti di decarbonizzazione industriale in Asia, allo sviluppo di batterie in America Latina». Se a qualcuno suonasse come “colonizzazione ecologica”, si può sempre dargli del malizioso.

Occorre però prestare molta attenzione, specialmente quando si gioca con la pelle degli altri e specialmente quando gli altri sono Paesi non del tutto in grado di far fronte a determinate emergenze. Come raccontava Milano Finanza, riportando un articolo di The Wall Street Journal, in febbraio, negli Stati centrali degli Stati Uniti d’America, i costi del gas e dell’energia elettrica sono aumentati sensibilmente e le autorità hanno stabilito almeno un blackout forzoso, dal momento che una tempesta polare ha provocato il congelamento delle pale eoliche che forniscono energia ricavata dal vento in quelle zone.

Insomma, riportava il quotidiano statunitense, «ecco il paradosso dell’agenda climatica della sinistra americana: meno usiamo i combustibili fossili, più ne abbiamo bisogno», mentre il Texas, ricco come Creso di petrolio locale, balbettava per il freddo. Chissà cosa potrebbe accadere in zone del pianeta meno attrezzate per affrontare un’emergenza di tal genere.

L’articolo aggiungeva che «anche l’Europa e l’Asia stanno importando quest’inverno più combustibili fossili per il riscaldamento e l’energia […]. La radiotelevisione pubblica tedesca ha recentemente riferito che “le energie verdi della Germania sono messe a dura prova dall’inverno”. Il carbone rappresenta ancora il 60% dell’energia cinese, e le importazioni sono triplicate in dicembre. La Cina ha circa 250 gigawatt di impianti a carbone in sviluppo, abbastanza per alimentare tutta la Germania».

Nulla da aggiungere.

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