Last updated on Novembre 8th, 2020 at 09:10 am
Sarà forse un malinteso senso della solidarietà femminile quello che ha convinto il ministro svedese per l’Uguaglianza di genere, Åsa Lindhagen, a “invitare”, con un post su Instagram, le donne polacche a recarsi in Svezia per sottoporsi ad aborto, dopo che il 22 ottobre la Corte costituzionale di Varsavia ha dichiarato l’illiceità, in Polonia, dell’interruzione volontaria di gravidanza anche in caso di malformazione del feto.
Tale decisione della corte polacca ha sollevato proteste feroci in tutto il Paese, manifestazioni violente e attacchi alle chiese, dal momento che la Chiesa Cattolica è stata considerata da taluni sponda e appoggio per quanto stabilito in sede politica.
Evidentemente la Svezia ha ritenuto di “correre ai ripari”, se un alto funzionario del sistema sanitario svedese la settimana scorsa ha accolto alcune donne polacche che si sarebbero recate in territorio svedese per abortire.
Åsa Lindhagen, che appartiene al Partito ambientalista – I verdi, giustifica la propria posizione con il cosiddetto analogo aiuto che la Svezia avrebbe ricevuto nel corso degli anni 1960, quando nel Paese scandinavo l’aborto era in certa parte vietato e la Polonia, allora sotto il regime comunista, avrebbe accolto le donne svedesi intenzionate a eliminare comunque i bambini che portavano in grembo. Il tutto suona strano, se è vero che l’aborto è stato reso legale in Svezia nel 1938 e le condizioni di questa prima legalizzazione prevedevano l’esistenza di “adeguate” ragioni mediche (vale a dire il pericolo di salute della donna o di deformità del feto) o ragioni umanitarie (cioè in caso di gravidanza conseguente a uno stupro). Nel 1963 una revisione della legge prese a includere la possibilità di abortire feti con gravi difetti congeniti. Si vede che, ancora, ciò non era ritenuto sufficientemente “liberale”.
Attualmente la legge svedese consente l’aborto sino alla diciottesima settimana, senza che sia necessario addurre giustificazioni. Dopo la diciottesima settimana e fino alla ventiduesima, è richiesta l’autorizzazione del National Board of Health and Welfare.
Né è previsto l’accesso per il personale medico all’obiezione di coscienza, come hanno dimostrato casi recenti che purtroppo potrebbero avere la funzione di grimaldello per imporre tale abuso anche in altri Paesi, come stabilito alla chetichella dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Qualora poi il paesaggio svedese non fosse gradito, a breve pare sarà possibile scegliere pure un’altra meta, l’Islanda, per le donne polacche (e maltesi, in questo caso) che intendessero disfarsi del bambino che avessero concepito. Anche in questo caso, gratuitamente (vale a dire a spese dei contribuenti del Paese ospite, come nel caso della Svezia).
A tal fine, infatti, è stata presentata una risoluzione parlamentare da parte del deputato Rósa Björk Brynjólfsdóttir, che si applicherebbe solo ai due Paesi (la Polonia e Malta, appunto), dove la legge sull’aborto è più rigorosa che altrove in Europa. La risoluzione è stata sostenuta da 18 parlamentari, appartenenti all’Alleanza Socialdemocratica, al Partito Riformatore, al Partito Pirata e alla Sinistra – Movimento Verde, cui apparteneva la stessa Brynjólfsdóttir prima di uscirne per giocare il ruolo di parlamentare indipendente.
Sia la parlamentare svedese che l’islandese sono donne giovani, di bell’aspetto, dalla vita politica impegnata; anche la Brynjólfsdóttir porta a motivo della sua proposta i diritti umani e il necessario sostegno da offrire alle donne in difficoltà, in un afflato di solidarietà femminile che commuoverebbe se non trascurasse un particolare di non poca importanza: i diritti del nascituro, in tal caso, chi li difende?