Last updated on Novembre 28th, 2021 at 11:37 am
Finita la Seconda guerra mondiale, in Europa occidentale al fragore delle armi si sostituì gradualmente il sibilo pervasivo di venti nuovi. Correnti, folate e poi raffiche tese a rimuovere, smantellare, sradicare. La consegna, per chi credeva in valori antichi, era restare saldi dinanzi al levante del collettivismo e al ponente dell’individualismo. Una tale consegna, in Italia, assunse negli anni 1950 la veste politica della «Giovane Italia», una formazione pensata per gli studenti iscritti al Movimento Sociale Italiano o simpatizzanti di destra.
Oggi un libro ne ripercorre storia e gesta. Si intitola I ragazzi del ciclostile – La Giovane Italia, un movimento studentesco contro il sistema. L’ampio testo – ricco anche di foto d’archivio – vanta la prefazione di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ed è scritto a quattro mani da Alessandro Amorese e Adalberto Baldoni. Quest’ultimo, classe 1932, giornalista, saggista, dirigente politico, è un cardine della Destra italiana. Con lui «iFamNews» discute dell’attualità di temi e lotte della «Giovane Italia».
Nel Manifesto della Gioventù Nazionale, redatto a seguito del congresso della «Giovane Italia» del 1962, si esalta la famiglia come uno dei «più alti valori da difendere» contro comunismo e individualismo. In quegli anni, con i dibattiti su divorzio e aborto ancora di là da venire, era già così importante rimarcare questo punto?
La contestazione giovanile arrivata dagli Stati Uniti d’America nel 1967, con le prime occupazioni delle facoltà, ed esplosa in Italia e in Francia nel 1968, ha inciso profondamente nei costumi, nella morale, nella mentalità e nella politica. Dopo quegli anni nulla è stato come prima. Tra i giovani sono cambiati persino abbigliamento e linguaggio. Mi parla del convegno del 1962 della «Giovane Italia». Lontano anni luce da quel periodo. Ma la difesa della famiglia, intesa in modo tradizionale, è stata sempre tenuta in primo piano. E la religione, in questo caso, non c’entra nulla. Né potevano interessarci, allora, le dispute sul divorzio e sull’aborto.
Uno degli obiettivi della «Giovane Italia» era creare un’alternativa, netta, alla crescente preponderanza della sinistra nel mondo culturale. L’esperienza della «Giovane Italia» terminerà nel 1971 e quell’obiettivo è rimasto inevaso. Cosa è andato storto e perché?
Uno degli obiettivi della «Giovane Italia» era quello non solo di arginare ma di combattere sul piano della propaganda e della cultura le organizzazioni della Sinistra, in particolare della FGCI, la Federazione giovanile comunista italiana, dotata di mezzi economici notevoli. La «Giovane Italia», per rendersi autonoma anche politicamente dal Movimento Sociale Italiano, si è autofinanziata con il tesseramento degli iscritti, innanzitutto per diffondere le proprie idee, i propri programmi, le proprie iniziative. Distintivo della «Giovane Italia» erano i giornaletti d’istituto, girati a ciclostile che circolavano ovunque. Il ciclostile è stato un mezzo efficace che ha permesso alla «Giovane Italia», attraverso i volantini, di essere presente, anche quotidianamente, in tutte le scuole. Negli anni che vanno dal 1950 al 1971, anno di scioglimento della «Giovane Italia», si sono svolti convegni culturali, corsi di aggiornamento politico, campeggi estivi utilizzati come svago, divertimento ma anche come luoghi dove dibattere temi di attualità.
Quanto influirono sulla formazione politica e culturale della «Giovane Italia» le rivolte anticomuniste nell’Europa dell’Est, quelle di Berlino e Budapest negli anni 1950 e il sacrificio del patriota cecoslovacco Jan Palach (1948-1969)?
La «Giovane Italia» ha portato nelle piazze migliaia e migliaia di studenti, non solo di destra, per denunciare le violenze del comunismo. Non si poteva fare altrimenti. Chiudersi dentro le sedi per partecipare a un semplice di dibattito sarebbe stato inutile. Manifestando nelle strade, alla luce del sole, la «Giovane Italia» si è resa conto che poteva farsi sentire da milioni di italiani. «Pensiero e azione», diceva Giuseppe Mazzini (1805- 1872).
Nell’introduzione del libro traccia un quadro desolante della gioventù odierna preda della digitalizzazione. Qualcuno porrà rimedio a questa deriva?
Sono pessimista sulla gioventù odierna. È sufficiente leggere alcuni pregevoli libri che sono usciti recentemente. Ne cito due: Metti via quel cellulare del giornalista Aldo Cazzullo e Baciami senza rete del sociologo e psichiatra Paolo Crepet. In uno dei miei ultimi articoli pubblicati su Il Borghese ho scritto, e non me ne pento, che questa è una generazione di “bamboccioni”. Qualcuno porrà rimedio a questa situazione? Non voglio tirare in ballo le istituzioni, la scuola, i docenti, i partiti, la politica, la Chiesa. Senza esitazioni rispondo: la famiglia, a patto che torni ad essere il primo nucleo di formazione e di educazione.
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