Last updated on Maggio 30th, 2021 at 06:09 am
A quanto pare “tutto il mondo è paese” e pure il Canada del primo ministro Justin Trudeau, leader del Partito Liberale, dimostra la medesima verità.
Lo evidenziano anche le “femministe radicali”, sia le canadesi sia le italiane, sottolineando come un disegno di legge che di per sé potrebbe pure vederle d’accordo si riveli in realtà un bavaglio alla verità e alla coscienza. Meglio però procedere per gradi.
Il cosiddetto Bill-C10 promosso dal primo ministro dovrebbe garantire «i diritti e le libertà» di una «società giusta e democratica». Dovrebbe inoltre «sostenere le industrie culturali canadesi e […] garantire che i contenuti canadesi siano disponibili e accessibili».
Tutto giusto, bello e, appunto, democratico. Peccato che, quasi di soppiatto, in un venerdì sera qualunque di pochi giorni fa, faccia capolino in un disegno di legge allo studio da un bel po’ di tempo un emendamento nuovo: podcast, video online e financo siti web dovrebbero cioè essere sottoposti a una regolamentazione su basi differenti, per cui le piattaforme di social media dovrebbero rispondere di ogni post presente online, come se si trattasse di un programma televisivo o radiofonico proposto da una emittente ufficiale. Ed eventualmente cassarlo.
Quindi, se si è ben compreso, non solo i giganti del web: anche ciascun ”twittatore” seriale, ciascun patito di Facebook della domenica sera, ciascun “instagrammer” compulsivo dovrebbe sottostare a determinate regole.
E di nuovo, fino a qui, forse non sarebbe sbagliato: stare in società prevede alcune norme, tutte da rispettare.
Personalmente non lo si considererebbe neppure esagerato, se non fosse che in verità già oggi in Canada si possa essere perseguiti qualora si pubblicasse online un contenuto diffamatorio o che violi il copyright o le leggi sull’istigazione all’odio, oppure se si trasmettessero contenuti illegali di tipo pedopornografico. Giustamente.
Invece, il Bill-C10 ha aspirazioni più “elevate” e la regolamentazione da parte dei “supervisori” del web rischia di diventare censura vera e propria. Sì, perché per esempio i filmati contrari all’identità di genere o più in generale «gender critical» potrebbero non essere ammessi. Ne sono particolarmente consapevoli le donne che, per esempio, preferiscono essere chiamate per l’appunto donne piuttosto che «individui che mestruano» o «individui con cervice». Che non è la testa dura, sinonimo di testardaggine. Altrimenti, fuori: cancellate, silenziate, senza voce.
Per esempio: il sito web Canadian Women’s Sex-Based Rights racconta la vicenda di Keira Bell, ormai celebre anche in Italia. Si tratta di una “detransitioner”, di una ragazza che dopo aver iniziato un percorso di transizione da giovane donna a uomo è tornata sui propri passi e con sofferenza e impegno ha voluto riappropriarsi della propria identità originaria. Ebbene, le autrici che promuovono e sostengono il sito si dichiarano «estremamente preoccupate», poiché tali espressioni online sarebbero contrarie alla politica del Bill-C10 e pertanto vietate.
Nel frattempo Pierre Poilievre, parlamentare canadese di area “Conservative”, ha lanciato una petizione contro il Bill-C10 ampiamente osteggiata. La petizione si dichiara apertamente contro il «grande Reset».