Lo schema è ormai tristemente noto. Il Gay Pride arriva in provincia e il primo obiettivo diventa quello di sbertucciare la Chiesa Cattolica, ovvero una delle istituzioni che più mettono i bastoni tra le ruote alla nuova religione arcobaleno. Una religione che, come tutte, vive di dogmi e di riti.
Non poteva mancare, allora, anche nella recente edizione trevigiana del Gay Pride, la liturgia della provocazione gratuita, con sette donne a seno nudo sul sagrato della cattedrale, strillando a squarciagola: «Sul mio corpo decido io!».
Un breve ma esuberante fuori-programma, in cui le manifestanti hanno riportato in auge, a modo loro, il dibattito sull’aborto, rispolverando la poco originale tesi della Chiesa come massima espressione della lobby globale anti-diritti.
La banalizzazione dell’aborto
La risposta ecclesiale e istituzionale non si è fatta attendere. Stavolta, l’allegra brigata LGBT+ non ha trovato né un clero “aggiornato” e compiacente, né una politica collusa e opportunista.
«La Diocesi non entra nel merito della vicenda, ma esprime dispiacere nell’apprendere di gesti, gratuitamente provocatori, messi in atto sabato sul sagrato della chiesa cattedrale, gesti che si commentano da soli», dichiara monsignor Giuliano Brugnotto, vicario generale della diocesi di Treviso.
Con riferimento alle proteste sull’aborto, il presule aggiunge: «Dispiace che un dramma complesso e di così grande portata sociale, e personale per le donne che lo vivono, venga semplificato con qualche slogan».
Partito Democratico complice?
Ancor più dura l’amministrazione comunale di Centrodestra, a partire dal sindaco leghista Mario Conte, che pure si dichiara non ostile alle cause arcobaleno. Per il primo cittadino, la trovata del Pride trevigiano è stata «una carnevalata mal riuscita che danneggia la vera lotta dei diritti che il coordinamento LGBT tratta con serietà e responsabilità».
Meno accondiscendenti i toni del capogruppo della Lega in Comune, Riccardo Barbisan, che afferma: «Che il caldo desse alla testa ne siamo convinti tutti, ma non pensavo fino al punto di vedere certe scene che offendono la grande arte del circo e la secolare tradizione del carnevale. Una manifestazione che abbiamo subito, e della quale ci vergogniamo».
«Tra gli organizzatori c’era un arcipelago di associazioni, molte sconosciute ai più e altre tristemente conosciute da anni rispetto alle quali alcuni consiglieri del PD non hanno mai reciso il cordone ombelicale». In conclusione, Barbisan chiede «una presa di distanze chiara e definitiva dalla violenza e dalle oscenità al PD trevigiano».
Si rischia il penale
La vicenda del Pride di Treviso non si esaurisce a una scaramuccia politica, destinata a sopirsi nell’arco di qualche ora. Sulle provocazioni delle veterofemministe ci sono indagini in corso.
«Le immagini e i video della manifestazione sono al vaglio della Digos», riferiscono fonti della questura. «Se si ravviseranno profili di reato a carico di qualche partecipante al corteo si procederà con le dovute contestazioni nelle sedi opportune».
Sebbene non ci siano stati scontri fisici, né tensioni, il blitz estemporaneo delle sette manifestanti sul sagrato della cattedrale potrebbe diventare oggetto di sanzione (la stampa locale parla di daspo urbano), in quanto, oltre a non essere autorizzati, i gesti risulterebbero palesemente contrari alla pubblica decenza.
Dente avvelenato per il «ddl Zan»
Da notare che il Pride di Treviso è stato promosso dal collettivo femminista Non una di meno e dal centro sociale Django, a conferma della convergenza sempre più netta tra movimenti contigui di ispirazione ultra-liberal: una parte del mondo femminista, l’attivismo LGBT+ e, per l’appunto, i centri sociali.
Del resto, come trapela anche dalle parole di David Primo, rappresentante di Non una di meno alla manifestazione, la ferita della bocciatura del ddl Zan è tutt’altro che rimarginata. Urge, dunque, un’unità d’intenti contro il nemico comune.
Al tempo stesso, gli obiettivi sono sempre più ambiziosi e vengono rivendicati con sempre maggiore vigore. David Primo ritiene che quello di domenica scorsa sia stato un «Pride che nasce dal basso» e «fatto di giovani», dove, come gridavano gli slogan, «l’amore libero anche nelle scuole» diventa un diritto da portare in piazza. Il livello dello scontro si alza, assieme alla posta in gioco. Saltano tutti gli schemi e le parti in causa sentono ormai la necessità di schierarsi senza indugio: con l’ordine naturale delle cose o contro di esso. Le vie di mezzo sono ormai insostenibili.
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