Last updated on Novembre 3rd, 2020 at 02:04 pm
La modella e attrice statunitense Emily Ratajkowski annuncia sul patinato Vogue (una volta si diceva un “femminile”) di essere in attesa di un figlio. O di una figlia. Non si sa. Soprattutto Emily non lo sa perché non lo vuole sapere. Meglio, non lo deve sapere. La Ratajkowski ha infatti le idee confusamente chiarissime. Per sapere se è maschietto o femminuccia vuole aspettare fino a quando la creatura avrà 18 anni.
Perché, dice, vuole costringere il bambino o la bambina a quanti meno «stereotipi di genere sia possibile». Per la influencer che si strappò le vesti per l’infondata accusa di stupro contro il giudice della Corte Suprema degli Stati Unti d’America Brett Kavanaugh, e che su Harper’s Bazaar se le levò per insegnare al mondo che la nuova femminilità sono le ascelle non rasate (ma persino il re di tutti pelosi, il King Kong da Oscar di Carlo Rambaldi nell’omonimo film di John Guillermin nel 1976, pensava l’opposto davanti alla conturbante Jessica Lange), la logica è solo un’astrazione borghese. Ora, Emily guarderà altrove cambiando i pannolini per un po’, ma, quando la natura farà il proprio corso, che farà, mescolerà rasoi per la barba o assorbenti igienici in una scatola lasciando che il/la figli* peschi bendato nel mucchio (improvvisandosi ora Jessica Lange, ora King Kong)? Sempre sperando però che egli o ella non si sbagli, perché un conto sono le scemenze da rotocalco, un altro la realtà delle cose.
Di trompe-l’œil così ce n’è oramai in abbondanza ed è proprio in questo cambiamento climatico che ieri è andato in scena il ritorno del «testo unico Zan» ricucinato per meglio scendere, sperano i suoi partigiani, in gola agli italiani. La nuova formulazione in discussione da ieri alla Camera dei deputati contiene infatti una novità: l’estensione delle pene che si vorrebbero infliggere ai fantomatici «omo/transfobi» d’Italia anche a chi si macchiasse di reati legati contro i disabili (predetto comunque che lavoro su indiscrezioni di stampa).
La tecnica è sottile. Il «t.u. Zan» è l’estensione della Legge Mancino del 1993, che colpisce chi si renda colpevole di violenza e/o di discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali, onde includere la fattispecie di tali reati spinti anche da motivazioni di natura sessuale. Suo scopo unico non è difendere vittime presunte, o reali, bensì mandare a processo chiunque dissentisse con l’ideologia gender e con quel che ne consegue per esempio in tema di adozioni, «utero in affitto» e via discorrendo. Per dissimularsi, e conquistare così le menti e i cuori degli italiani alla causa di una minoranza ideologica che pretende di imporre al Paese un pensiero unico liberticida, qualche mese fa la proposta di legge ha già infatti incluso le donne: vanno incluse le vittime colpite in ragione del loro gender, dicono i partigiani Zan, quindi anche le donne e non solo gli omosessuali. Oggi, cioè ieri, a maggior ragione anche gli handicappati. Come si fa adesso, dicono infatti quei partigiani, a non volere una legge tanto buona e tanto inclusiva? Si fa, invece, e si può perché questa proposta è in realtà discriminante.
Perché, infatti, non includere nel disegno di legge, provoca intelligentemente Massimo Gandolfini, portavoce del Family Day, anche «le discriminazioni subite dagli obesi e dai bambini in sovrappeso che, secondo le denunce, sono i soggetti più colpiti da atti di bullismo»?
Il punto di non ritorno è che ogni elenco sarebbe inevitabilmente incompleto e che qualcuno resterebbe sempre escluso. Quindi qualcuno, cioè molti, moltissimi italiani verrebbero discriminati positivamente da una legge scritta apposta per tagliarli fuori, abbandonandoli a soprusi e a violenze.
Il «t.u. Zan», cioè, stabilisce che alcuni italiani siano cittadini di serie A e altri di serie B. È profondamente ingiusto, sbagliato, immorale e selettivo. Non esiste infatti un elenco completo di tutte le categorie di italiani da tutelare, perché stilarlo è impossibile. Soprattutto perché gli italiani sono persone, non categorie. L’unico elenco possibile è quello che contiene una e una sola fattispecie, l’unica meritevole di tutela, garanzia e difesa: la persona. La legge deve tutelare le persone dalla violenza e dalle discriminazioni. Ora, questo elenco però esiste: esiste già. È la Costituzione italiana, che per esempio all’Articolo 3 sancisce la pari dignità di tutti i cittadini, ergo le leggi della repubblica italiana coerenti con l’impianto costituzionale difendono le persone da violenze e da discriminazioni. Le difendono tutte, non come fanno l’on. Alessandro Zan e i suoi partigiani che invece discriminano moltissimi italiani giudicati non meritevoli di tutela, mentre ne strumentalizzano altri per gettare fumo negli occhi ai più.
Chi davvero vuole difendere gli omosessuali da violenze e discriminazioni deve quindi rigettare il «t.u. Zan». Tra l’altro, come insiste sempre Gandolfini, «se veramente il governo ha a cuore i disabili, modifichi le leggi che permettono di selezionare gli embrioni, di abortire i bimbi affetti da sindrome di Down fino al sesto mese e ritiri le proposte di legge volte a concedere il suicidio assistito anche a malati non terminali e depressi».
Ma in realtà l’unica mira del «t.u. Zan» non è affatto difendere vittime vere, bensì promuovere la falsità dell’ideologia gender, quella per cui una “Emily Ratajkowski” italiana qualsiasi verrebbe vezzeggiata se trascurasse il proprio figlio o la propria figlia in nome di quelli che lei chiama «stereotipi di genere» e che però sono invece , le caratteristiche imprescindibili con cui ogni persona, diversa e uguale alle altre, viene al mondo da sempre e sempre verrà al mondo. Auguriamoci allora che la motosilurante del «t.u. Zan» si infranga sulle rocce di quel parlamento italiano che esiste per tutelare le persone, non per promuovere ideologie discriminanti.
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