Il tentato assassinio del giudice della Corte Suprema Brett Kavanaugh è stato trattato con una sorprendente clemenza, tutto perché il potenziale attentatore ha rivendicato un’identità transgender. Ma la giustizia non è servita quando l’ideologia supera la responsabilità.
Nicholas Roske, che ora afferma di essere una “donna transgender” di nome Sophie, è stato condannato a soli otto anni e un mese di prigione, molto al di sotto dei decenni richiesti dal Dipartimento di Giustizia. Il giudice ha esplicitamente citato il nuovo status di genere di Roske come fattore attenuante, sollevando persino preoccupazioni sulla sua collocazione in una struttura federale riservata ai soli uomini che interferirebbe con la sua assistenza per la transizione.
Roske ha adottato questa identità solo dopo il suo arresto. Prima di allora, era un uomo che pedinava la residenza di Kavanaugh, completamente armato e intenzionato a uccidere. Ma sfruttando la narrativa della “simpatia transgender”, ha ottenuto indulgenza nella sentenza. Questa non è giustizia, è una facciata, progettata per l’immagine politica.
I media e la magistratura si sono coalizzati per riformulare la violenza di Roske come un sintomo di identità, piuttosto che una dimostrazione di terrore. I rapporti lo hanno ripetutamente riformulato in termini femminili, cancellando la sua precedente identità maschile e la gravità delle sue azioni. Nel frattempo, il procuratore Pam Bondi ha giustamente definito la sentenza “terribilmente inadeguata”, avvertendo che un tale risultato incoraggia iimitatori.
Questo caso è una prova: quando l’ideologia radicale di genere guadagna influenza nei nostri tribunali, le bilance della giustizia si allontanano dalle vittime e si orientano verso le narrazioni politiche. Dobbiamo difendere la verità, esigere una reale responsabilità e rifiutare di lasciare che le rivendicazioni di identità diventino cunei che indeboliscono le nostre leggi e tradiscono i nostri valori più grandi.