Sventola ora la nostra bandiera, e si chiama card. Zen

Arrestato dai comunisti cinesi, il prelato novantenne ha ragione anche quando ha torto. Ma lui è il pretesto per sputare in volto al Pontefice e alla libertà religiosa

Il cardinale Joseph Zen Ze-kiun

Il cardinale Joseph Zen Ze-kiun

Un cardinale di novant’anni, uno studioso accademico, un avvocato e una cantante attivista LGBT+. No, non è una barzelletta. Condividono la “stessa cella”, ovvero sono appena stati arrestati. A Hong Kong. Per ordine della polizia locale, che è al servizio del governo locale, che è al servizio del Partito Comunista Cinese (PCC).

Hong Kong la ricordiamo. Vagamente. È quel luogo che la Cina comunista dal 1949 e ancora tale sta cercando di occupare militarmente e politicamente da tempo e che ogni tanto ci distrae dagli spaghetti all’ora di cena perché qualcuno, rischiando vita e tutto quanto possiede, scende eroicamente per le strade a smuovere le acque, prima innalzando ombrelli gialli, poi protestando contro leggi totalitarie. Per il resto Kong Kong nemmeno sappiamo dove stia sulla carta geografica, ovviamente con la bocca piena di spaghetti borbottiamo “è Cina” e più di tanto le immagini della tivù non ci disturbano.

Ma a Hong Kong va in scena da anni l’esperimento più riuscito di Pechino rossa: raccontare un mucchio di menzogne all’estero, vedere quanto l’Occidente è disposto a bersele tutte per quieto vivere e interessi a diversi zeri, e menare il can per l’aia all’insegna dell’ennesima bugia comunista chiamata Yīguóliǎngzhì, 国两制, cioè «un Paese, due sistemi». Anzitutto perché non è affatto «un Paese», ma due, e questo fa imbestialire Pechino più che mai, motivo per cui lo ripeto, e per iscritto: non è affatto un Paese, ma due. Hong Kong non è Repubblica Popolare Cinese, non è quella sciagura di regime liberticida che disprezza la vita umana per il puro piacere di calpestarla. Lo stesso vale per Taiwan: già che ci sono ripeto per iscritto pure questo, ché non guasta mai.

In secondo luogo i «due sistemi» tanto sbandierati sono in realtà oramai uno. Hong Kong è un Paese occupato dal PCC, l’ennesimo, a cui viene imposta una legge straniera dal Gauleiter locale del mastodontico regime comunista cinese della terraferma.

Hong Kong è il luogo dove si processano le persone senza giuria, altro che «sistemi», a voler insufflare, nella terza narice di chi la coltiva come un geranio, che lì differenze con la Cina comunista non ce ne sono.

Ebbene i quattro protagonisti della non barzelletta di cui sopra, un cardinale di novant’anni, mons. Joseph Zen Ze-kiun, uno studioso accademico, Hui Po-keung, un avvocato, Margaret Ng Ngoi-yee , e una cantante attivista LGBT+, Denise Ho Wan-see, sono stati arrestati in quanto ex promotori e fiduciari del 612 Humanitarian Relief Fund, che, fondato nel 2019, è stato un grande protagonista dell’aiuto e dell’assistenza anche legale e psicologica ai manifestanti che nelle vie di Hong Kong subivano la polizia per amore della libertà, insomma un benemerito Fondo fiancheggiatore del bene.

Dunque, perché il Fondo non c’è più? Perché il governo di Hong Kong lo ha sciolto dopo l’entrata in vigore della famosa e famigerata Legge sulla sicurezza nazionale dell’ottobre 2021, che è una delle più evidenti zampate di Pechino nella regione. Gli arresti della “banda dei quattro”, avvenuti fra la scorsa notte stanotte e oggi, sono la degna (si fa per dire) conclusione della vicenda.

Ora, il card. Zen è l’arcivescovo emerito di Hong Kong. Lo conosce il mondo intero, metà del quale lo ammira per il suo coraggio e lo stima per le sue prese di posizione a favore della libertà di Hong Kong, contro il comunismo cinese e in spregio a qualsiasi compromesso per uno e un solo motivo: perché nel compromesso c’è sempre una parte forte che ci guadagna e una parte debole che ci perde, e nella Cina rossa e territori occupati il card. Zen, i suoi fedeli cattolici perseguitai al pari di ogni altra religione e dissidenza appunto dalla Cina rossa, è la parte debole. Poi anche perché il compromesso (non l’accordo, che è cosa diversa) è un cedimento immorale sul piano spirituale.

Il card. Zen non ha mai fatto mancare la propria opinione sull’accordo segreto, ancora segreto, che il regime comunista cinese ha concluso nel settembre 2018 con la Santa Sede e rinnovi successivi. Dal lato pratico quell’accordo è un disastro per i cattolici cinesi che non si piegano al regime perché è da sempre interpretato e implementato dal regime cinese come il via libera vaticano alla mano pesante. La Santa Sede ha sempre negato che questa fosse l’interpretazione autentica, ma a distanza la situazione resta congelata in un limbo inospitale e i cattolici continuano a farne le spese, paradossalmente proprio i più fedeli alla Santa Sede, poiché gli altri, di bocca più buona, barattano volentieri la fedeltà al Soglio di Pietro con quel che passa quotidianamente il convento.

Il card. Zen ha sempre denunciato con veemenza quell’accordo. E anche chi non è d’accordo con la denuncia in toto dell’accordo o con i toni usati dal card. Zen fatica a dargli torto in linea di principio e per via di fatto.

L’arresto del novantenne cardinale è il punto di non ritorno. Forse quell’accordo non si doveva fare, forse va sconfessato, forse ha ragione il card. Zen anche se i suoi modi potrebbero pure avere torto. La sostanza, infatti, è ciò che conta. E ora la sostanza è che il regime comunista cinese ha sfidato frontalmente la Santa Sede e il mondo, Santa Sede che, in attesa del mondo o no, certamente dovrà rispondere per le rime a questa che è una provocazione inaudita e un monito a tutti. Al Pontefice per primo. E il Papa certamente difenderà il suo acceso critico Zen per difendere ciò che egli, il Papa, è, incarna e simboleggia, come quel suo critico acceso accoratamente ricorda a tutti.

Intanto un altro vescovo cattolico che non si piega ai diktat del PCC, mons. Joseph Zhang Weizhu della diocesi di Xinxiang, nella provincia dell’Henan, resta in prigione, dal 21 maggio 2021, perché il PCC ha appena respinto la richiesta di scarcerazione avanzata dalla Santa Sede. Ha infatti commesso «crimini gravi»: ha organizzato un seminario non gradito al governo comunista.

Noi di «iFamNew», che ci battiamo per la vita come primo dei diritti umani (ovvio, con i morti si fa poco) e per la famiglia come dimensione prima e ultimativa della socialità politica umana, siamo esterrefatti di fronte a questa violazione violenta del primo diritto politico della persona umana conseguente al suo diritto primario alla vita e alla sua socialità fondamentale: la libertà religiosa.

Mentre sto andando online mi raggiunge la notizia che il card. Zen è stato rilasciato su cauzione, ma non cambia assolutamente una virgola, non cambio assolutamente una virgola.

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