Last updated on Agosto 24th, 2021 at 02:35 pm
In Costa Rica c’è un uomo che si fa chiamare con nome di donna, «Nataly Monge Brenes», perché è transgender. A 22 anni è finito in carcere non per avere rubato una mela, ma con una condanna a sei anni per abusi sessuali su minori. Inizialmente era stato rinchiuso nel carcere La Reforma, che però è maschile. Lì ha lamentato ripetuti stupri da parte dei detenuti maschi. Ha quindi chiesto, sentendosi donna, e, dopo ricorsi e ricorsi, ottenuto il trasferimento in un altro carcere, stavolta femminile, El Buen Pastor a San Rafael Arriba de Desamparados, nella provincia di San José. Ci è arrivato il 4 gennaio 2019. Ora, nel febbraio 2020 lì ha picchiato con una mazza e cercato di violentare una detenuta femmina, Quesada Hernández. Già prima dell’aggressione si era mostrato nudo alle detenute femmine e persino, nel bagno, in atti di autoerotismo.
Davvero strani questi maschi che si sentono femmine e che però, al momento buono, usano la propria virilità come un’arma contundente. Strano perché nessuno s’indigna, strano perché nessuno grida allo scandalo, strano perché nessuno osa dire che è tutto solo una pagliacciata pazzesca. Morale, «Nataly» è finito in isolamento.
Cose che capitano. Troppo spesso. In California ci sono circa 300 uomini che, sentendosi donna, chiedono il trasferimento in istituti di correzione per femmine. Sono tutti stupratori? Certo che no. Ma come si fa quantomeno a non condividere le paure delle donne che, rinchiuse in carcere, dovrebbero, dall’oggi al domani, condividere quegli spazi già di penitenza, irti di tutte le difficoltà e le gravità del caso, con chi anche solo potenzialmente potrebbe essere un violentatore?
Perché va di moda inquadrare sempre l’uomo come uno sciovinista che, appena può, abusa delle donne, tranne nel caso in cui, magicamente, un maschio dica di sentirsi femmina? Perché nel nostro mondo oramai tutto è privacy tranne ciò che la privacy la merita davvero?
Casi come questi si ripetono e tornano. Vengono raccontati e ripetuti apposta. Noi apposta li raccontiamo e li ripetiamo. Perché, se l’ideologia è cieca per definizione, occorre che qualcuno apra al più presto gli occhi sulla realtà delle cose.
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