Migliaia di persone, in Spagna, hanno sfilato per le strade della capitale domenica 26 giugno, due giorni dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha ribaltato la famigerata sentenza Roe vs. Wade, che per cinquant’anni ha imbrogliato le donne con la pretesa infondata che l’aborto fosse un diritto.
Una manifestazione pacifica che ha raccolto 20mila persone secondo la delegazione governativa, ma 100mila nel conteggio degli organizzatori, più di 200 associazioni pro-life e anti-abortiste, e che ha percorso senza incidenti il tratto che va dalla rotonda di Bilbao a Plaza de Colón, con musica, bandiere e stendardi con scritte «in difesa della vita» e «contro le leggi dell’aborto e dell’eutanasia».
L’aborto, in Spagna, è stato depenalizzato nel 1985. La normativa vigente lo permette in ogni caso sino alla nona settimana di vita del bambino nel grembo materno, e fino alla 22esima in caso di rischio grave per la salute della donna, di anomalie del nascituro e di gravidanza derivante da uno stupro, in base alla Ley Orgánica 9/1985 e alla successiva Ley orgánica de salud sexual y reproductiva y de la interrupción voluntaria del embarazo, approvata nel 2010, ai tempi dell’esecutivo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero.
Alla fine del mese scorso, addirittura, la riforma appena varata dal governo social-comunista guidato da Pedro Sánchez ha introdotto la possibilità per le ragazze minorenni, a partire dai 16 anni, di abortire senza il consenso dei genitori. Inoltre, essa elimina i tre giorni previsti di attesa riflessiva prima che la donna decida se procedere o meno alla soppressione del bambino e l’obbligo che le siano fornite informazioni sull’aborto. «Altri punti rilevanti: la distribuzione gratuita delle cosiddette “pillole del giorno dopo” (abortive) da parte del sistema sanitario e l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole a partire dalla prima infanzia».
In febbraio, inoltre, la Camera di deputati spagnola ha approvato «[…] una proposta di legge con 204 voti a favore (Socialisti, Podemos, Ciudadanos, Repubblicani Catalani e Indipendentisti Baschi) e 144 contrari (Popolari e VOX). Il disegno di legge passa ora al Senato, dove l’approvazione definitiva è quasi certa. In base a tale disegno di legge, chi dovesse presentarsi davanti alle cliniche abortiste a distribuire volantini o anche, semplicemente, a pregare, sarà passibile del carcere per un periodo da tre mesi a un anno».
Ma la manifestazione di Madrid ha dimostrato che non tutti sono d’accordo, come dalle testimonianze raccolte dal quotidiano El Mundo. Vi sono state infatti le voci delle cittadine, giovani e meno giovani, a scandire in marcia che il corpo, sì, appartiene alle donne, ma il corpo del figlio che portano in grembo è quello del bambino, una persona compiuta, e non il loro. E che la società deve urlare in vece di chi non ha voce, dei nascituri, i più vulnerabili di tutti.
Domenica, a Madrid, era presente anche la politica. L’ex ministro dell’Interno e presidente dell’organizzazione pro-life One of Us, Jaime Mayor Oreja, hai dichiarato con ottimismo ai giornalisti che ciò che la marcia dimostra è che «la cultura della vita è più viva che mai», che la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti «è un elemento di speranza e di futuro» e che invece «con leggi che distruggono la natura umana non si costruisce alcun domani».
Con lui anche María San Gil, ex presidente del partito dei Popolari baschi, attuale vicepresidente della Fundación Villacisneros, che ha pronunciato un deciso «basta alle leggi ideologiche che impongono un progetto autoritario sulla la società», definendo la sentenza USA «un percorso di speranza».
Hanno partecipato alla manifestazione anche alcuni membri del partito VOX, fra cui il presidente, Santiago Abascal, e il portavoce al Congresso, Iván Espinosa de los Monteros. Quest’ultimo ha affermato davanti ai giornalisti di voler difendere «il diritto alla vita come alternativa rispetto ai 100.000 aborti per i quali lo Stato spende ogni anno molto denaro, mentre ne versa pochissimo in favore della vita».