Last updated on aprile 3rd, 2020 at 06:18 am
Il quotidiano ucraino Kyiv Post ha riproposto un articolo pubblicato dal sito di Open Democracy di George Soros, che comincia in modo spudorato: «In Ucraina l’aborto è legale da decenni, ma i gruppi sostenuti dalla Casa Bianca di Trump stanno tradendo le donne più vulnerabili».
Già solo questa prima frase è uno splendore di disinformazione. In primo luogo “dimentica” opportunamente di ricordare che l’aborto è stato legalizzato in Ucraina, come in tutta l’Unione Sovietica, dal bolscevismo, bolscevismo che in Ucraina ha lasciato ricordi particolarmente cupi come l’Holodomor, il genocidio per fame perpetrato da Stalin e dai suoi scagnozzi, che ha causato circa 5 milioni di vittime nei primi anni 1930. Chi è dunque che tradisce le donne più vulnerabili? Organizzazioni pro life, che si propongono di aiutarle a mantenere i propri bambini, o la pianificazione familiare, che assicura loro che l’aborto è un’operazione banale, senza conseguenze? Sbalordisce poi il complottismo degli anti-complottisti: così come quella la frase è scritta, si ha infatti l’impressione che le organizzazioni a favore della vita che operano in Ucraina abbiano chiesto il sostegno ufficiale o persino finanziario alla Casa Bianca. Una cosa assolutamente surreale. Che Donald J. Trump sostenga moralmente il movimento pro life è un conto. Un altro, diverso e completamente delirante, che la collaborazione tra i diversi gruppi pro-vita del mondo sia stata decisa nell’Ufficio Ovale.
Nè è più serio il prosieguo dell’articolo. La “giornalista” Tetiana Kozak ha telefonato al Centro di assistenza alla gravidanza di Karkhiv, istituto interamente, ufficialmente e pubblicamente supportato da quella bellissima operazione che è Heartbeat International (anch’essa ufficialmente e pubblicamente pro life). Naturalmente la sua telefonata si fonda su una menzogna: finge infatti di essere una studentessa profuga, rimasta incinta dopo uno stupro, che sta prendendo in considerazione l’aborto. Ricordo che, in linea di principio, la deontologia giornalistica proibisce di farlo in tutto il mondo. Salvo casi eccezionali (come per esempio filmare signori della guerra o criminali mafiosi), un giornalista che stia svolgendo un’inchiesta deve infatti presentarsi come tale. O forse la Kozak ha pensato che chi si occupa di difesa della vita sia un pericoloso criminale.
Come che sia, la “giornalista” non riesce a trovare altre risposte se non
1) non ci sono prove che l’aborto aumenti il rischio di cancro al seno;
2) il Centro di assistenza alla gravidanza di Karkhiv è sostenuto da potenti stranieri (in particolare la Casa Bianca);
3) il sito web del Centro non afferma che si tratta di un gruppo religioso.
Che brutte cose !
La Casa Bianca, il perno
Dunque, anzittuto non occorre essere credenti per pensare che l’aborto uccida un essere umano: basta avere semplicemente studiato un po’ di biologia a scuola.
Il “ragionamento” sul cancro al seno, poi, è un puro errore: non sono i pro vita a dover dimostrare che l’aborto sia un pericolo, spetta invece ai pro morte dimostrare che sia innocuo. E qui, buona fortuna. Non esistono infatti prove (a dire il meno) del fatto che per la madre l’aborto sia un’operazione sicura. In tutte le questioni relative ad animali o piante gli amici di Soros invocano poi sempre un «principio di precauzione». È tanto scandaloso applicare il medesimo «principio di precauzione» quando si tratta di esseri umani?
Quanto ai sostegni stranieri, si è già detto che quello di Heartbeat International è pubblico; se davvero questo centro volesse ingannare le donne, mascherandosi da centro per la pianificazione familiare essendo invece un centro per la vita, qualcuno davvero pensa che quel citato sostegno sarebbe visibile su Internet? Non il sostegno della Casa Bianca, cosa del tutto assurda: certamente Trump è felice che a Karkhiv vengano salvati dei bambini, ma qualcuno pensa davvero che non abbia abbastanza da fare degli Stati Uniti d’America? Nel caso la Kozak lo ignori, le ricordo che il movimento pro life americano ha molto da fare negli Stati Uniti, dove ogni anno vengono praticati quasi 1,3 milioni di aborti.
La “giornalista” confonde insomma il sostegno morale che tutte le organizzazioni per la difesa della vita di tutto il mondo si offrono vicendevolmente ben volentieri e l’idea di un gran complotto di cui l’Ufficio Ovale sarebbe il perno. Per quanto esista, cresca e si rafforzi il sostegno morale internazionale (in particolare grazie al lavoro instancabile svolto dal World Congress of Families), è sciocco immaginare che il movimento pro vita mondiale sia un blocco monolitico comandato da Washington. Forse però si può perdonare la confusione, giacché il denaro dei progressisti americani scorre in tutto il mondo in difesa di aborto e “matrimonio” gay, anche se la maggior parte dei Paesi non li vuole.
Autocompiacimento
La frase che segue il riassunto di questa conversazione telefonica è del resto bellissima: «Una donna in difficoltà che cercasse aiuto potrebbe non rendersi conto che dietro il Centro di Karkhiv ci sia un progetto o amici stranieri così potenti». Qui il sangue si gela nelle vene del lettore. Ci si può vagamente immaginare una rete clandestina di pericolosi terroristi. Uhm, in realtà no: il progetto è salvare bambini e Heartbeat International non è probabilmente tanto potente quanto lo è George Soros, e in ogni caso non nasconde le proprie convinzioni.
Il resto è tutta propaganda. La Kozak s’indigna perché il Centro non fa capo al ministero della Salute. Forse non sa che nel mondo ci sono Paesi non comunisti (o che hanno smesso di esserlo, come appunto l’Ucraina). Immagino che le dia molto dolore, ma alla fine, in tutto il pianeta, sono le congregazioni religiose e la filantropia privata a offrrire più cure degli Stati.
Ma la cosa più divertente è senza dubbio questa: l’indagine della Kozak fa parte di un più ampio progetto di Open Democracy (che, ricordo, è una fondazione finanziata in gran parte da Soros, cioè senza dubbio una grande garanzia di obiettività scientifica). L’articolo precisa che, dopo la pubblicazione di questa presunta «indagine sulla democrazia aperta», Hillary Margolis, ricercatrice senior sui diritti delle donne in Europa e in Asia centrale di Human Rights Watch, ne ha giudicato «inquietanti» i risultati. Forse adesso il mondo smetterà di girare. Un ricercatore giudica «inquietanti» questi risultati. Ma c’è un problema: la Margolis lavora per Human Rights Watch, un’organizzazione notoriamente di sinistra e – sorpresa – in gran parte finanziata da Soros. È un po’ come se la Kozak commentasse i propri “risultati” dicendo “quanto è buona questa mia inchiesta”.
Ci siamo anche noi, ovviamente
Veniamo però agli attacchi contro di noi. Perché sì, cari lettori, in questo grande complotto pro vita, imperniato sulla Casa Bianca, il World Congress of Families, un «gruppo ultra-conservatore» presieduto dall’amico Brian Brown, che è pure l’editore di “iFamNews”, è un anello essenziale.
La prova? Brian è stato di recente a Kiev per un incontro del gruppo «Valori, dignità, famiglia» animato da parlamentari ucraini di tutti i partiti e guidato da un altro amico (qui le cose peggiorano), Oleg Voloshin.
Diavolo, se anche il movimento pro life ucraino è sostenuto dai pro lifer ucraini, dove sta andando il mondo?
È così insomma che i nostri buoni amici del clan Soros intendono il giornalismo investigativo.
Nessuno allora si preoccupi perché li si ascolta sempre meno. Dopo tutto, poi, glielo si può dire… Sì, siamo contenti che, grazie in particolare agli incontri del World Congress of Families, che consentono ai leader pro vita di tutto il mondo di incontrarsi e di imparare l’un l’altro, la cultura della vita progredisca ovunque nel mondo e naturalmente che, del tutto pubblicamente ed esplicitamente, noi tutti speriamo che gradualmente, in tutti i Paesi del mondo, le donne possano accogliere il proprio bambino per la maggior gioia loro e di tutta la società. Ma non ripetetelo: è un complotto.