Last updated on Settembre 7th, 2021 at 10:03 am
Ornella Vanoni ha 86 anni. È nata a Milano nel 1934 e ha iniziato la carriera dal teatro nel 1956, proseguendo l’anno dopo nella musica. Ha cantato “la mala” con un repertorio fintamente popolare, inventato in quegli anni dal regista Giorgio Strehler (1921-1997), sposato, di cui era la compagna. Per propria ammissione, ha avuto molti uomini e molti amori. Un paio di anni fa, in un’intervista rilasciata a Pino Strabioli per la trasmissione televisiva di Rai3 In arte, affermò, con calma divertita, di dover trovare badanti che fossero capaci di “rollare”, poiché ogni sera, prima di dormire, fuma una canna da 55 anni. Alla Mostra internazionale d’arte cinematografica della Biennale di Venezia, in corso fino all’11 settembre, sarà presentato il docufilm realizzato da Elisa Fuksas sulla sua vita, Senza fine.
Ornella Vanoni, insomma, non è una santerellina, rintanata in chiesa o relegata a casa davanti ai fornelli. È stata una donna dal grande successo professionale e dalla vita spericolata, per citare un altro cantante. Ma, in una intervista ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera, la Vanoni prorompe in parole inaspettate: «[…] la gravidanza […] è stata il periodo più bello della vita». E al giornalista che ne chiedeva il motivo, risponde: «Perché è l’unico momento in cui non sei sola. In cui si è davvero in due».
In Laguna, in questi giorni, è sbarcato anche il regista spagnolo Pedro Almodóvar, per inaugurare la rassegna, giunta all’edizione numero 78, con il proprio ultimo film, Madres paralelas.
Racconta la vicenda di due donne, «[…] Janis e Ana, [che] condividono la stanza di ospedale nella quale stanno per partorire. Sono due donne single, entrambe in una gravidanza non attesa. Janis, di mezza età, non ha rimpianti e nelle ore che precedono il parto esulta di gioia. Ana invece è un’adolescente spaventata, contrita e traumatizzata. Janis tenta di rincuorarla mentre passeggiano tra le corsie dell’ospedale come delle sonnambule. Le poche parole che scambiano in queste ore creeranno un vincolo molto forte tra le due e il fato, nel fare il suo corso, complicherà in maniera clamorosa le vite di entrambe».
Sì, certo, il film ha anche un risvolto storico-politico, nel ricordo in negativo del periodo franchista. Sì, certo, Janis, interpretata dall’attrice spagnola Penelope Cruz, è bisex e, ovvio, non manca la scena di amore lesbico. Sì, certo, la madre della giovane Ana abbandona per l’ennesima volta la figlia adolescente, quando questa ha appena partorito, per inseguire il sogno di una carriera teatrale.
Neppure Almodóvar è un topolino da sacrestia. Parla la sua filmografia, basti pensare a La mala educación, del 2004, e lo racconta la sua vita, entusiasta, per esempio, dell’approvazione del “matrimonio” omosessuale nel suo Paese.
Eppure, spregiudicati quanto si voglia essere, trasgressivi e trasgressori, convinti e assertivi nel proprio disprezzo di quella famiglia che si definirebbe «tradizionale» se non si temesse di passare per retrogradi e che però si riconosce come «naturale», ebbene, anche loro, anche la Vanoni e anche Almodóvar, anche nella cornice patinata e noncurante di una Venezia tutta riflettori mica possono parlare di «concetto antropologico». Parlano di madri, di gravidanza, di un cuore che batte nel corpo di un’altra. Quando si è “davvero in due”. Parlano della realtà.