Last updated on Agosto 26th, 2021 at 12:59 pm
Politici, medici e giornalisti quotidianamente, e con leggerezza enorme, utilizzano – in riferimento all’attuale situazione sanitaria e agli strumenti con cui lo Stato ha scelto di contrastare la pandemia di CoViD-19 – una terminologia che non è medica, non è nemmeno scientifica e che è invece etica: obbligo morale, dovere morale, dovere civile, obbligo di solidarietà e così via.
È però necessario, per ogni individuo che voglia assumersi con serietà la responsabilità delle decisioni sulla condotta da tenere, in particolare in tema di vaccinazioni “volontarie” e obbligo di Green Pass – che, ricordiamolo. non è «misura di sanità pubblica» – una riflessione seria e approfondita.
Il mondo vive infatti in un momento storico in cui le parole dell’etica vengono utilizzate solo come parti ormai prive di quei contesti da cui derivava il proprio significato. La ragion pratica – che dovrebbe indirizzare le azioni al fine ultimo del compimento integrale dell’umano – è stata sostituita con la “razionalità burocratica”, che pretenderebbe di adeguare i mezzi agli scopi in maniera economica ed efficace. La valutazione circa gli scopi risulta però sganciata da qualsiasi vincolo oggettivo: la coscienza moderna è soggettivista, relativista ed emotivista. Gli unici fini condivisi accettabili sarebbero quindi quelli imposti da una autorità riconosciuta comune, per esempio lo Stato.
Cos’è un obbligo
Per fare un po’ di chiarezza, in un guazzabuglio di idee tanto confuse quanto strumentalizzate al mero fine persuasivo, vale sempre volgersi all’autorevolezza filosofica di san Tommaso d’Aquino (1225-1274), secondo una recentissima lettura, quella di Giuseppe Abbà, grandissimo interprete contemporaneo del pensiero del Dottore Angelico. Sta alla filosofia infatti, scevra da ogni ricerca di profitto, occuparsi delle giustificazioni razionali delle scelte morali.
Obbligare significa, dunque, «vincolare una volontà, in modo tale che non possa tendere ad altro senza incorrere in una deformità, così come chi è legato non può camminare». Chi impone un obbligo a qualcuno «lo governa, esercitando su di lui la mozione caratteristica d’un signore su un suddito». Quando si obbedisce a un comando, insomma, si riconosce il valore della persona – o della istituzione – che impone il comando (chi chiede, cioè, di svolgere una determinata azione particolare), non del contenuto del comando stesso (ciò che in pratica viene chiesto di fare). Si fa ciò che viene imposto di fare, indipendentemente dal giudizio personale, per una precedente autorevolezza riconosciuta in (o subita da) chi ordina.
Cos’è un dovere morale
Per definire il concetto di dovere morale, invece, non è necessario fare riferimento né a un apparato di norme e di leggi né al concetto di obbligazione, nonostante, nel linguaggio comune, «dovere» e «obbligo» vengano usati come sinonimi. Così infatti non è: con l’obbligazione il ruolo della volontà è vincolato, la volontà non è libera. Nel dovere morale, invece, l’esercizio della volontà libera è condizione ineludibile.
Il concetto di dovere, infatti, emerge nel momento in cui la ragione riflette sull’atto da compiere, quando comanda di mettere in atto determinate azioni perché realizzano beni valutati come doverosi. In questo modo la ragione esercita il proprio influsso su una volontà che è e che deve restare libera. La ragione indica certe azioni come doverose in quanto appropriate: l’azione che deve essere messa in atto è cioè una azione conveniente alla volontà umana in quanto libera e razionale.
Dove sta la convenienza
Ed ecco il vero nodo della questione: quali sono le caratteristiche di una azione che sia adeguata o conveniente alla volontà libera e razionale? A differenza delle obbligazioni, che hanno a che vedere con i mezzi necessari per perseguire fini imposti da una autorità superiore alla volontà, il dovere morale ha a che fare con il fine ultimo che la ragione indica alla volontà come «ideale pratico di perfezione per le persone umane». Si tratta del compimento umano integrale, quella vita veramente buona, o vera felicità, cui è naturalmente inclinato il desiderio dell’uomo.
Indipendentemente dalle differenti (financo contrapposte) concezioni della vita buona – cioè dalle immagini concrete che ciascun singolo ed irripetibile essere umano può rappresentare per sé come ideale di vita felice – esiste un unico concetto di vita buona, che consiste appunto nel compimento umano integrale. Una azione è adeguata o conveniente alla volontà libera quando concretizza nel particolare l’ideale di vita buona, avvicinando la persona a essa e alla felicità.
Il dovere dipende dal bene, non da un calcolo
Una tale concezione fonda il dovere morale nei beni umani e nel compimento delle persone, non dunque nella realizzazione di «uno stato di cose che dia il maggior tasso di benefici e il minor tasso di danni». Perciò, di fronte alla decisione personalissima di aderire a un programma vaccinale non obbligatorio (di cui dunque l’autorità non si assume la responsabilità), e conseguentemente di adempiere all’obbligo di ricevere un lasciapassare che permetta di compiere azioni comuni (se non indispensabili) alla vita quotidiana, un individuo può parlare di dovere morale solo quando la propria scelta abbia per scopo «non uno stato di cose che realizza il beneficio proporzionalmente maggiore o il danno proporzionalmente minore», bensì «un ideale di perfezione umana».
Questo insegna san Tommaso, con Aristotele (384-322 a.C.), fondando il dovere morale sul vero bene dell’uomo. Ciascuno, a questo punto, liberamente scelga per sé a cosa corrisponde il proprio ideale di compimento umano integrale, senza paura di assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
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