Per Dermot Kearney, per i bambini da lui salvati dall’aborto chimico, per le loro famiglie e per il sistema sanitario britannico, è una grande vittoria. L’indagine a carico del dottor Kearney e della dottoressa Eileen Reilly, da parte del General Medical Council, si è conclusa con la piena assoluzione del medico di origine irlandese che così, dopo circa un anno di sospensione, potrà tornare a praticare il suo metodo, che gli ha guadagnato l’eterna gratitudine di tante madri pentite del loro tentativo di aborto. Il trattamento, noto anche come «Abortion Pill Reversal», è già particolarmente diffuso negli Stati Uniti d’America e consiste nell’assunzione del progesterone che annulla gli effetti della prima pillola abortiva.
L’azione contro Kearney era stata avviata dal MSI Reproductive Choices, think tank totalmente dedito alla promozione dell’aborto, della contraccezione e di altri strumenti di controllo delle nascite. Al termine delle audizioni, tuttavia, come riferito dal quotidiano britannico The Daily Mail, il General Medical Council non ha trovato una sola donna che si sia lamentata dell’approccio terapeutico del dottor Kearney. Tutte le pazienti, al contrario, lo hanno giudicato «gentile e premuroso», assai delicato nel trattare con loro al momento di una scelta così drammatica.
Intervistato dallo stesso giornale, Kearney si è detto «contento e sollevato» ma, al tempo stesso, persuaso dell’esistenza di una «campagna orchestrata» ai suoi danni dalla lobby abortista.
Le testimonianze delle famiglie coinvolte sono tutte molto toccanti. I genitori del piccolo Khalid, otto mesi, affermano che il ripensamento sulla sua vita è stata «la migliore decisione che abbiamo preso». La mamma di Sonny, dieci mesi, dice: «Senza il dottor Kearney non avremmo avuto lui, questa stupenda vita». Il papà del bambino aggiunge che Kearney si è offerto di pagare di tasca propri alcune analisi private, del costo di 70 sterline. «Scoprire che c’era tanta gentilezza nel mondo è stato fenomenale. L’ho trovato talmente generoso che ho pianto», racconta l’uomo.
Un rischio che vale la pena correre
56 anni, cardiologo, Kearney è cattolico ma afferma: «Credo solo che la vita umana sia sacra, indipendentemente dal contesto religioso. E credo che lo sia dal concepimento». Lui stesso non ha mai illuso le sue pazienti che il suo metodo avrebbe necessariamente «funzionato» e si è premurato di non nascondere loro i «rischi». Delle circa 150 donne che si sono rivolte a Kearney tra l’aprile 2020 e il maggio 2021, 65 hanno accettato di completare il ciclo di progesterone. Tra queste ultime, 32 hanno poi partorito bambini perfettamente sani.
L’avvio di questa terapia sperimentale è stato tutto in salita. I primi tre tentativi sono stati tutti fallimentari: il bambino inizialmente sopravviveva, per poi morire un paio di settimane dopo.
L’accusa lanciata da Jonathan Lord, direttore medico del MSI Reproductive Choice, contro Dermot Kearney era che il medico pro-life avrebbe «imposto le sue convinzioni personali» e che, in quanto presidente della Catholic Medical Association britannica, era «altamente improbabile che potesse offrire un consiglio obiettivo e imparziale». Accuse che Kearney ha seccamente respinto, definendole «ingiuste e false».
A sostegno di Kearney si è invece schierata Andrea Williams, amministratore delegato del gruppo lobbistico Christian Legal Concern, che descrive il cardiologo come «eroico», commentando: «Siamo lieti che sia stata fatta giustizia per questo dottore brillante e compassionevole».
Abortisti smascherati
In esclusiva per «iFamNews», Kearney ha poi raccontato altri particolari della sua vicenda medico-giudiziaria e della riabilitazione del suo metodo.
Dott. Kearney, si aspettava un verdetto così favorevole?
Premetto che è importante sapere che il nostro caso, alla fine, non è stato ascoltato in tribunale. Un’udienza dell’Alta Corte di Londra era stata programmata per il 24 febbraio, ma il General Medical Council ha deciso di archiviare il caso a mio carico già il 15 febbraio, mentre le condizioni impostemi sono state formalmente revocate il 18 febbraio, sei giorni prima dell’udienza prevista in tribunale. Non c’è dubbio che il motivo del rigetto della causa contro di me era legato alla minaccia dell’udienza proposta dall’Alta Corte. Il General Medical Council non voleva quindi comparire in tribunale senza prove a sostegno delle accuse che mi avevano mosso. Prima che sapessimo che il caso fosse archiviato, tuttavia, speravo che, con la forza delle prove che abbiamo prodotto, qualunque tribunale, alla fine, mi avrebbe scagionato e ordinato l’annullamento delle restrizioni imposte. C’era sempre la preoccupazione, tuttavia, che non potesse essere fatta giustizia e che le prove prodotte potessero non essere adeguatamente esaminate.
Perché il suo lavoro è risultato così scomodo per taluni?
È molto difficile da comprendere, poiché i fornitori di aborti e i gruppi a difesa dell’aborto che hanno presentato le denunce contro di me, affermano tutti di essere «a favore della scelta». Eppure, erano molto determinati nell’impedirci di aiutare le donne che avevano liberamente scelto di salvare i loro bambini, nel momento in cui avevano cambiato idea sul procedere con l’aborto dopo aver preso la prima pillola abortiva (il mifepristone). Hanno contestato il fatto che non dovrebbe esserci scelta per il trattamento di annullamento dell’aborto. L’unica spiegazione possibile è che questi gruppi non vogliono credere che alcune donne possano cambiare effettivamente idea, anche dopo aver preso il mifepristone. Se accettano che le donne cambino idea, la successiva scomoda domanda da porsi è: «perché cambiano idea?». La risposta, ovviamente, è che di rado, praticamente mai, le donne ricevono una consulenza adeguata prima di precipitarsi ad abortire o essere costrette a farlo. L’industria dell’aborto non gioisce certo all’idea di finire smascherata per la sua mancanza di interesse per le donne.
Visti gli sviluppi favorevoli, ha intenzione di riprendere il trattamento?
Speriamo di ristabilire il prima possibile il nostro servizio nel Regno Unito. Ci sono alcuni problemi pratici minori che dovranno essere affrontati prima di ricominciare formalmente il servizio. Ci auguriamo che possa svolgersi ancor meglio di prima e che vengano coinvolti un maggior numero di medici, infermieri e farmacisti. Ironia della sorte, il tentativo di chiuderci ed eliminare il servizio di annullamento dell’aborto ha portato a una notevole crescita della consapevolezza del servizio, molto più di quanto avremmo mai potuto ottenere con i nostri soli sforzi.