Last updated on Gennaio 12th, 2022 at 02:52 pm
«La bravata referendaria implica l’infrazione delle Convenzioni Onu firmate dall’Italia. Le sue probabilità di superare il vaglio della Corte Costituzionale sono uguali a quelle che avrebbe il “papello” di Totò Riina, cui tra l’altro assomiglia per ispirazione e per il profilo dei possibili beneficiari».
Con queste parole Pino Arlacchi, sociologo, politico con trascorsi in Italia dei Valori e Partito Democratico, tronca senz’appello, dalle colonne de Il Fatto quotidiano del 28 dicembre, la proposta referendaria sulla cannabis.
Arlacchi ha maturato una esperienza importante nel campo della lotta alla droga, ricoprendo, dal 1997 al 2002, l’incarico di Sottosegretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, di direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine (UNDCP), nonché quello di Direttore generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite a Vienna. Come direttore esecutivo dell’UNDCP, nel 1998 fece approvare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una strategia decennale sia di riduzione della domanda di droghe sia di eliminazione delle colture di oppio e di coca in tutto il mondo, chiamata Un mondo libero dalla droga.
Promotore pure della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale, approvata a Palermo da 124 Paesi nel dicembre 2000 e operativa dal 2003, e oggi cresciuta a 193 paesi, Arlacchi non solo critica la proposta referendaria sul piano giuridico, ma svela anche come l’eventuale successo della consultazione aprirebbe la strada alla coltivazione di qualsiasi sostanza stupefacente: oppio, coca, cannabis e quant’altro, portando le multinazionali del crimine a utilizzare direttamente il territorio del nostro Paese per la coltivazione onde risparmiare in trasporti e logistica. Le multe rimangono alte, certo, ma sono briciole per i trafficanti di droga.
«Fa solo ridere», ribadisce Arlacchi, «l’argomento che, dato il via libera alla coltivazione di tutti gli stupefacenti, il mantenimento del divieto di raffinazione e commercializzazione delle droghe pesanti sia in grado di stoppare il comando criminale del loro mercato. Una sorveglianza efficace delle coltivazioni ex-illecite sul territorio nazionale sarebbe impossibile perché richiederebbe un apparato mostruoso, pari alle dimensioni dell’esercito italiano».
Considerazioni, queste, utili e preziose per tutti, anzi ineludibili, anche per la Corte Costituzionale.