Last updated on Agosto 24th, 2021 at 02:34 pm
Cosa lega assieme i diversi e perversi tentativi di cancellare le persone ancora prima che nascano? Una ideologia nota come neo-malthusianesimo. La professoressa Giorgia Brambilla ne ha fatto uno studio preciso e al contempo sintetico, che offriamo ai lettori di «iFamNews» per documentazione e meditazione. C’è da sbigottire.
Sono sempre fini apparentemente virtuosi quelli proposti da due visioni apparentemente slegate l’una dall’altra che invece vanno a braccetto nella lotta contro la generazione e la genitorialità: le ragioni malthusiane e quelle eugenetiche.
Vediamo brevemente come.
Il pastore anglicano Thomas Robert Malthus, nel “Saggio sul principio di popolazione” del 1798, collegò popolazione e risorse disponibili, traducendo tale nesso nei termini di una legge “naturale” di incompatibilità tra il ritmo di accrescimento demografico e quello dei “mezzi di sostentamento”.
Nella Gran Bretagna del XVIII secolo, colpita da una grande povertà, Malthus sosteneva che le politiche socio-assistenziali applicate nei confronti dei poveri non solo erano insufficienti, ma addirittura inopportune perché andavano a tutelare proprio la classe sociale più “sregolata” dal punto di vista etico e demografico. Malthus credeva, infatti, che, oltre all’incongruenza tra la curva dell’accrescimento demografico e quella delle risorse, la capacità riproduttiva non fosse la stessa per ogni classe sociale. Per l’autore, ogni venticinque anni la popolazione cresceva secondo una proporzione geometrica (1-2-4-8, ecc.), per cui ogni singolo aumento è principio di moltiplicazione degli aumenti successivi, mentre la quantità di cibo secondo una proporzione aritmetica (1-2-3-4, ecc): quindi, mentre la popolazione raddoppia, le risorse alimentari aumentano molto più lentamente. Ne segue che l’aumento delle risorse non riesce a tenere il passo della crescita della popolazione: vi saranno, a detta sua, sempre più esseri umani e, proporzionalmente, sempre meno risorse sufficienti a sfamarli.
Nel suo Saggio, Malthus affermò che la carestia e la debolezza erano i due fattori principali che controllavano la crescita. Fame, epidemie, guerre erano esempi di carestia che tenevano sotto controllo la popolazione. Tant’è che è noto come Charles Darwin si fosse esplicitamente ispirato a Malthus per l’idea della competizione per risorse limitate da parte di popolazioni numericamente esuberanti che è alla base del suo principio della selezione naturale.
Non solo Darwin; l’allarme del demografo britannico sarà lo stesso suonato dal cugino Francis Galton, a cui si deve il neologismo “eugenics”, nel suo programma di incentivo alla riproduzione dei migliori. La concezione comune, infatti, era quella di una “fertilità differenziale” delle classi: da un lato il minaccioso disordine riproduttivo di quello che, non a caso, veniva chiamato “proletariato”, dall’altro l’oculata e previdente progenie borghese, un’élite in grado di guidare la società. Al problema della quantità della popolazione si affiancava, quindi, la sua qualità.
Tanto forte fu l’influenza del pensiero del pastore anglicano che l’ideologia che anche oggi identifica nell’aumento numerico della popolazione la principale causa della fame, della scarsità delle risorse, della povertà e del degrado ambientale, e propone il controllo delle nascite come unica soluzione viene chiamata “malthusianesimo”. E la chiamo ideologia perché non c’è nessuna prova scientifica che l’inquinamento sia associato alla crescita demografica, sebbene in maniera ciclica alcuni “scienziati” trovino ogni occasione per ribadire di fare meno figli possibile. Ma è davvero la preoccupazione per l’ambiente (considerato peraltro come un’entità astratta e degna di dignità in sé e per sé) al centro di queste posizioni o non è piuttosto una visione eugenetica dell’essere umano?
Desidero ricordare che troppo spesso siamo abituati a ricordare l’eugenetica come un’idea, applicata atrocemente, nata e morta con il nazismo. Ma non è così. L’eugenetica è nata in ambiente non totalitario, in contesti spesso eretti a modello di liberalità: si pensi all’eugenetica anglosassone che sterilizzava i disabili, all’eugenetica dell’utopia positivista italiana o, ancora, all’eugenetica del funzionalismo svedese.
Si può dire, insomma, che i nazisti non inventarono nulla, anzi altro non fecero che applicare quanto già attuato nelle nazioni considerate le più civili dell’epoca, tant’è che oggi è possibile riscontrare l’eugenetica in termini di mentalità in modalità “liberale”.
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