Last updated on Settembre 25th, 2020 at 01:43 am
Si scrive «Ola celeste», ovvero «Onda azzurra», si legge rinascita dei movimenti pro life in America Latina. Tutto ha avuto inizio in Argentina, quando la gente comune ha deciso di mettersi di traverso a una proposta di legge che avrebbe ulteriormente liberalizzato la soppressione della vita umana innocente. Da quella battaglia, combattuta nelle piazze, è poi nata un’onda che ora sta lentamente ma tenacemente conquistando tutta il mondo iberoamericano.
Era il gennaio 2018. Un disegno di legge per rendere più accessibile l’aborto viene presentato in parlamento. La popolazione si mobilita spontaneamente e ne nasce un nuovo movimento pro life che sceglie come emblema il colore azzurro come richiamo alla bandiera argentina e al cattolicesimo di cui è intriso il Paese. Nel giro di poche settimane ‒ ne dà notizia LiveAction.org ‒ l’associazione si organizza e nei mesi che precedono la votazione vengono organizzate marce che coinvolgono fino a tre milioni di persone, mentre parallelamente una raccolta firme supera il milione e mezzo di sottoscrittori.
L’agosto caldo del 2018
Si arriva così ad agosto, ai giorni della votazione, ma anche i gruppi filoabortisti si sono organizzati e hanno lanciato una raccolta parallela di firme, che si è fermata a quota 70mila. Lo scontro è duro. Fuori dal Senato c’è una grande marea azzurra, ma ci sono anche gli attivisti pro choice. La legge non passa: appena la notizia raggiunge la piazza, Onda azzurra inizia a cantare, a ballare e a sparare in aria fuochi d’artificio. I gruppi filoabortisti si riversano nelle strade con rabbia fra vandalismi e violenze contro l’esito della votazione.
Così l’Argentina, ma il movimento Onda azzurra non si è fermato lì, né si è sciolto dopo la vittoria a Buenos Aires: ha iniziato invece a diffondersi, consapevole che la battaglia per la vita necessita di un atteggiamento di veglia costante, di una controinformazione libera e precisa, di una presenza capillare.
Passa un solo mese e i giornalisti guatemaltechi registrano una nuova marea azzurra, che questa volta si riversa a Città del Guatemala, dove da mesi gli attivisti chiedono al governo di legalizzare l’aborto. Oltre 20mila persone vestite d’azzurro sfilano per le strade della capitale e riescono a convincere la politica a mantenere le leggi in difesa della vita.
I segnali di un risveglio civile c’erano del resto già tutti. Nel 2017 una nave neerlandese di proprietà della ONG «Women on Waves» aveva cercato di raggiungere il Paese mesoamericano per offrire alle donne la pillola per abortire sul ponte dell’imbarcazione, in acque internazionali. I militari avevano infatti bloccato il naviglio, spiegando alla ONG che il Guatemala difende la vita umana, ma era intervenuto anche un cittadino comune, che in pubblico aveva chiesto all’equipaggio della nave perché non si recasse nei Paesi Bassi «a uccidere i bambini». È ormai nota all’opinione pubblica infatti quella “colonizzazione ideologica” denunciata anche da Papa Francesco ed effettuata dai Paesi più ricchi nei confronti di quelli in via di sviluppo: per accedere agli aiuti economici è infatti necessario approvare leggi pro aborto, pro gender e pro eutanasia.
Salvare donne e bambini non nati
L’Onda azzurra ha dunque continuato la corsa fino nella Repubblica Dominicana, uno dei pochi Paesi al mondo dove l’aborto è ancora completamente illegale. Qui si è svolta la manifestazione «Salviamo entrambe le vite» con l’obiettivo di far mantenere al Congresso nazionale la legislazione vigente a tutela delle donne, spesso spinte all’aborto da una cultura fortemente maschilista. Anche in questo caso Ola Celeste ha saputo coinvolgere migliaia di cittadini, bloccando le modifiche alla legge.
E poi il Cile, dov’era in corso di approvazione una legge che avrebbe legalizzato l’aborto fino a 14 settimane dal concepimento. I gruppi pro life cileni si sono alleati con Onda azzurra, radunando migliaia di persone fuori dal Palazzo nazionale. Qui alcune mamme in dolce attesa hanno avvicinato il megafono alla pancia e fatto udire ai politici che assistevano dalle finestre il battito del cuore dei propri bambini non ancora nati. A tutt’oggi questa sollevazione popolare riesce ancora a resistere agli attacchi, anche sovranazionali, tesi a legalizzare l’aborto.
La battaglia più recente in difesa della vita è avvenuta in Ecuador, dove l’Assemblea nazionale stava per votare la legalizzazione dell’aborto in caso di violenza sessuale e di diagnosi prenatale avversa: in caso di malformazioni o disabilità sarebbe cioè stato consentito l’aborto.
Fronte comune per la vita
Anche la Chiesa Cattolica è scesa in campo accanto all’Onda azzurra con monsignor Alfredo José Espinoza Mateus, arcivescovo metropolita di Quito, il quale ha dichiarato: «L’aborto non può essere la risposta che una società civile dà al dolore e all’angoscia delle donne, degli uomini e delle loro famiglie. Parlare dell’aborto come soluzione è ironia dolorosa. L’aborto non può infatti essere una “soluzione”: è invece un dramma e un fallimento in qualsiasi società. Nessuna legge che legalizzi la morte di un essere umano indifeso può essere etica». Fuori dal palazzo dell’Assemblea nazionale erano presenti anche i gruppi pro aborto, che hanno reagito lanciando pietre contro la polizia e torce accese contro le finestre del palazzo.
L’obiettivo di Ola celeste è rendere l’opinione pubblica sempre più consapevole quando si parla di aborto, ribadendo che tale pratica non solo sopprime la vita del bambino non nato, ma lascia ferite indelebili nella donna che lo subisce. Secondo il movimento, dunque, non può esservi civiltà, non può esservi progresso se con l’aborto si calpestano la vita dei bambini e l’anima delle donne. Ancora, dice Ola celeste, sono proprio questi valori, riassunti nella difesa globale della vita umana nascente, la vera cellula dalla quale poi si generano tutti i diritti. Senza la difesa della vita umana non può esserci nessun altro diritto civile. E questa idea, come una grande marea azzurra, raggiunge sempre più persone in Iberoamerica. È una rinascita forse inaspettata e forse difficile da comprendere soprattutto nel Vecchio Continente, dove i princìpi non negoziabili sembrano ormai un lontano ricordo, ma è un segnale di speranza enorme per tutti.