Capita di portare un bimbo nel ventre. Capita che quel bimbo non lo si voglia. I motivi non contano, nemmeno se sono futili. Si decide dunque di sopprimerlo, quel bimbo nel ventre, addossando a lui o a lei tutte le responsabilità di un caso in cui proprio lui o lei non c’entrano affatto. Nessuno però lancia nel mondo una moratoria per fermare questa forma atroce di pena di morte, la più atroce di tutte perché, per definizione, il condannato non ha commesso il fatto e però viene ugualmente giustiziato per un non-reato.
Questa sentenza capitale somma di ogni ingiustizia può essere eseguita in diversi modi. Alcuni visibilmente cruenti, altri miopi al punto che, siccome non si vede, è meglio. Come per la sedia elettrica, esecrata più di ogni altro sistema di morte perché palesemente splatter: alle nefandezze macellaie dell’aborto chirurgico si preferisce la via chimica, che in società si porta molto meglio.
Siccome però nessuno nasce imparato, Internet fornisce tanti bei bugiardini pronti all’uso domestico. Del resto l’aborto è come il bianco, arreda sempre: dove lo performi, l’aborto funziona, in casa da soli o al bar con gli amici.
Su Internet m’imbatto in un vademecum che ricorda che «se sei a meno di 12 settimane di gravidanza e non hai accesso all’aborto sicuro o non puoi recarti in un paese con servizi di aborto sicuro puoi […] chiedere […] per ricevere aiuto». Per prima cosa occorre, mamma, che tu faccia un’ecografia; se non puoi, appura i giorni di vita della creatura che porti in grembo calcolando «[…] la durata della gravidanza contando il numero di giorni dal primo giorno di sanguinamento del tuo ultimo ciclo mestruale». Poi risponderai a «circa 25 domande». Quindi «ti verrà chiesta l’autorizzazione per trasmettere le tue informazioni al medico». Infine, «se non ci sono controindicazioni, le pillole ti verranno inviate al tuo indirizzo di casa». Il tempo previsto di arrivo del pacchetto killer in abiti lustri è compreso tra una e tre settimane. Morale, «l’aborto può essere fatto in sicurezza nella propria casa, purché si disponga delle informazioni necessarie e si possa arrivare rapidamente in ospedale nell’improbabile caso di una complicazione». Sembrano le raccomandazioni sulla scatola di montaggio di una macchinina da modellismo. In coda, «ti verrà anche chiesto di fare una donazione di almeno 90-70 euro, che viene utilizzata per mantenere il sito Web e per assicurarsi che il servizio continui a essere disponibile per aiutare altre donne».
Se però una mamma vive in uno di quei bei Paesi evoluti dove c’è tutto l’occorrente h24, si può «provare ad assumere 12 compresse di Misoprostolo comprandole in una farmacia locale o da una fonte attendibile». In effetti mica vorremmo che facesse male alla salute. Occhio, però, perché «il Misoprostolo ha molti nomi di marchi diversi». Ora, «in molti paesi la farmacia chiederà la prescrizione di un medico, ma a volte è possibile ottenerla senza prescrizione medica se si è insistenti e si dice che è per un’ulcera (Cytotec) o per l’artrite di tua nonna (Arthrotec o Oxaprost, che contiene anche un antidolorifico, il diclofenac)». Insomma, «non fermarti dopo il primo “no”!» perché il figlio che porti in grembo deve assolutamente morire.
Il ricettario della morte innocente prosegue poi parlando di «[…] ospedale entro 60 minuti nel raro caso di complicanze urgenti», di «trattamento di emergenza in un ospedale», «segni di complicazione», sanguinamenti, nausea, vomito, diarrea e brividi, e così via. Frottole: tutti sanno che è molto più complesso, doloroso e rischioso della timidezza con cui queste cosucce vengono buttate là en passant. Ma del resto, qualcuno di noi si è mai fermato davanti agli effetti collaterali di un’aspirina? Qualcuno ha mai dato sul serio retta alle avvertenze sul foglietto nella confezione di un medicinale? Le mettono perché debbono metterle, pensiamo tutti, ma se facesse male davvero, il dottore mica me la prescriverebbe, e giù la medicina, buona o amara che sia, e giù il Misoprostolo o come diamine si chiama nel Paese in cui vivi.
Ora, questo disinvolto ABC sta sul sito di Women on Waves, non un club di surfiste, ma un’agenzia di servizi nata nel 1999 nei Paesi Bassi. Insegna infatti come ammazzare il bimbo che porti in grembo, aggirando, mediante preparati chimici, le restrizioni di legge. Di norma le “Donne sulle onde” usano una nave su cui trasportano una clinica attrezzata. Previo appuntamento, le mamme che vogliono sopprimere i propri figli salgono a bordo, il naviglio prende il largo in acque internazionali e lì uccide. Scientifico, freddo, perfetto. Come i consigli web per la versione casalinga.
Sul loro sito mi colpisce un altro passaggio, «Ti consigliamo vivamente di usare il Misoprostolo sotto la lingua. In questo modo, nessun residuo delle pillole può essere trovato nel caso in cui dovessi andare in ospedale. Non ci sono esami del sangue che possono dimostrare che hai assunto Misoprostolo, quindi non ci sarà alcun modo per dimostrare che hai provato ad indurre un aborto». Agenti segreti con licenza di uccidere. Di donne così, però, fortunatamente l’Italia non ha alcun bisogno. Ci sono infatti le linee-guida emanate con un tweet agostano dal ministro della Salute Roberto Speranza. «L’uso di Misoprostolo da solo è efficace al 94%», sottolineano orgogliose le “Donne sulle onde”. Meglio di un cecchino.
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