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Réclame online di maternità surrogata. Che però in Italia è vietata

Barbara Santambrogio di Barbara Santambrogio
09/12/2020
in Famiglia
250
Reading Time: 4 mins read
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Piedini di neonata avvolta in una copertina rosa

Image by Christian Abella from Pixabay

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Last updated on Gennaio 5th, 2021 at 07:27 am

È vero, succede proprio così: digitando nel browser le espressioni «maternità surrogata», oppure, in modo ancora più chiaro e lapidario, «utero in affitto», i primi risultati sono annunci pubblicitari, come nel caso di qualsiasi altra ricerca. Con una nota particolare, però: la pratica, in Italia, non è legale.

Beninteso, le cliniche che pubblicizzano in tal modo i propri servizi non sono italiane e non operano in Italia. Fra le prime della lista una risponde dalla Spagna e un’altra dalla Repubblica Ceca, con due sedi, a Brno e Ostrava. I siti sono però scritti in italiano e il pubblico cui si rivolgono è quello del Belpaese. Dove, in base all’articolo 12, comma 6, della Legge 40/2004, «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».

Anche pubblicizzare la gestazione per altri (GPA), come viene “elegantemente” definita tale pratica, non è consentito, eppure questi siti lo fanno, spiegano modalità ed elencano tariffe per un servizio à la carte e la garanzia del soddisfatti-o-rimborsati. Si prendono addirittura il disturbo di segnalare che, una volta rientrati in Italia con il “proprio” frugoletto tra le braccia, potrebbero insorgere problemi per la registrazione del piccolo o della piccola, in base alla legge citata e che di fatto lo vieterebbe. Forniscono anche alcuni suggerimenti per cercare di evitarlo.

Il 24 novembre Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari, e Alberto Gambino, presidente dell’associazione Scienza & Vita, hanno scritto al premier italiano Giuseppe Conte «[…] per chiedere che finalmente l’AGCom oscuri nel nostro Paese i siti web che pubblicizzano la pratica dell’utero in affitto a pagamento».

L’AGCom come noto è l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e ha già provveduto a dichiarare che «[…] senza una legge che le attribuisca la competenza per oscurare queste attività illegali sul web, non può intervenire. Peccato che invece, ad esempio sul diritto d’autore nel web, abbia recentemente desunto la propria competenza da vaghi principi normativi, varando un proprio regolamento ad hoc», continua De Palo.

Al di là delle questioni strettamente giuridiche, e del gioco delle parti delle “competenze” necessarie per stabilire norme e regole, ciò che colpisce è il tono sempre borderline delle comunicazioni che riguardano la GPA. Si nega per esempio che il procedimento complesso che prevede spese ingenti per viaggi, terapie ormonali, tecniche di fecondazione in vitro, coinvolgimento della donna «portatrice della gravidanza», comprenda un pagamento a lei destinato. Si sostiene che si tratterebbe di un rimborso, necessario per acquistare fra le altre cose «alimenti di qualità». Sarebbe infatti la questione del pagamento a essere dirimente, laddove invece si desidera che passi il messaggio di un atto di generosità nei confronti di una donna che non possa vivere o portare a termine la gravidanza o di una coppia di uomini omosessuali.

Si ignora, inoltre, la complessità della registrazione del bambino o della bambina in quei Paesi, come l’Italia, in cui la GPA non è legale, che non di rado sfocia in battaglie giudiziarie durissime, difficili, angoscianti.

L’anno scorso una sentenza della Corte di Cassazione ha dichiarato che «non può essere trascritto in Italia il provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione italiano».

È di questi giorni, però, il caso di una madre surrogata esclusa in sede di giudizio dalla Consulta costituzionale, che deve decidere sulla legittimità di trascrizione in Italia della genitorialità di due uomini, “sposati” in Canada e “genitori” di un bimbo nato tramite GPA: il Comune di Verona ha rifiutato di trascrivere l’atto di nascita, i “genitori” hanno impugnato la sentenza, ora l’iter giudiziario continuerà e prossimamente se ne vedranno i frutti, che in tutti i casi non potranno essere che dolorosi, e velenosi.

Ma ciò che risulta più straniante è la sensazione che quel bambino, quei bambini, non siano figli, ma proprietà. Il fatto che sia tagliato, tranciato, non solo il cordone ombelicale fisico e tangibile che li lega a una madre, ma anche simbolicamente e metaforicamente ogni legame, ogni contatto, ogni, appunto, filiazione.

E no, l’adozione è un’altra cosa, profondamente diversa, come approccio e come logica: non un bambino per ogni famiglia, bensì, al contrario, una famiglia per ogni bambino. Fidatevi, lo so.

Barbara Santambrogio

Barbara Santambrogio

Dopo un percorso lavorativo originale e variegato, nel campo della pubblicità e dell’editoria, ma anche nel mondo enologico, è approdata finalmente a occuparsi di quanto più la appassiona. Oggi scrive (per il web, ma non solo), si occupa di traduzioni e insegna nella scuola primaria. Mamma biologica e adottiva, ama leggere e il running.

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